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Economia & Lavoro

Si chiude un nuovo annus horribilis per i mercati finanziari

Le previsioni per il 2022 delineavano un periodo di ripresa, inflazione sotto controllo e buone prospettive per gli investimenti. Ma nessuna di queste congetture si è avverata: i mercati hanno dovuto fronteggiare incertezza, paura e perdite, nell’azionario e, soprattutto, nell’obbligazionario

Carlo Vedani

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Orso e toro, simboli del mercato azionario (© Depositphotos)
Orso e toro, simboli del mercato azionario (© Depositphotos)

Le previsioni per il 2022 dell’economia mondiale erano decisamente tranquillizzanti. Le graduali riaperture dopo la lunga stagione dei lockdown e delle restrizioni inducevano a sperare in una ripresa, mentre i rincari di gas ed elettricità (già in atto nel 2021) non preoccupavano più di tanto.
Se dunque andassimo a rileggere le aspettative che gli economisti mettevano nero su bianco a fine dicembre 2021, osserveremmo una certa unanimità di giudizio su un 2022 solido, con inflazione sotto controllo e buone prospettive per il mercato. A titolo d’esempio, le aspettative sui tassi americani prevedevano di avere i Fed funds all’1% a fine dicembre 2022; invece oggi siamo al 4,25% e abbiamo assistito da parte della Federal Reserve alla più veloce stretta monetaria della storia.

Ipotesi smentite

Tutte le ipotesi espresse nel 2021 sono dunque crollate come castelli di carta. I mercati azionari hanno incontrato una lunga fase di ribasso, recuperando poi con un rimbalzo di lunga durata, ma insufficiente, mentre l’obbligazionario ha archiviato la peggiore stagione da 50 anni a questa parte, pur con prospettive di recupero per il 2023. Risultato: per la quarta volta da sempre (le altre, nel 1931, 1941 e 2018), azioni e bond hanno chiuso l’anno in negativo.

Ancora più allarmante la situazione delle materie prime, con il gas che ha raggiunto livelli record nel corso dei primi mesi della guerra russo-ucraina, per poi tornare a prezzi più gestibili (ma comunque ancora troppo alti) e il petrolio, che è schizzato in alto prima di attestarsi in un territorio più neutrale.

Risultato di questo annus horribilis: crescita dell’inflazione attorno al 10% nel mondo occidentale ed economie che stanno per entrare in recessione.

Azionario

Che le previsioni di fine dicembre non fossero corrispondenti a realtà lo si era capito fin dall’inizio dell’anno. Dopo i primi tre giorni all’insegna della crescita, la prima settimana di gennaio si era infatti chiusa con forti cali dei mercati, sia azionari, sia obbligazionari.

Inizialmente, il fenomeno sembrava passeggero e poco preoccupante. Ma la crisi sul confine russo-ucraino, che avrebbe poi portato all’invasione da parte di Mosca e al conflitto tra i due più importanti stati ex sovietici ha buttato in acqua un altro cigno nero, a un paio d’anni di distanza dall’esplosione del Covid.

Il calo dei mercati azionari è proseguito fino a fine estate e il rimbalzo d’autunno – pur solido e rassicurante – ha offerto un recupero solo parziale delle perdite accumulate nel corso dell’anno. Nell’azionario, i mercati europei chiuderanno dunque a -10%, l’indice S&P a -20% circa e il Nasdaq a -33%. Pur meno coinvolte dalla guerra russo-ucraina, anche le Borse asiatiche archivieranno l’anno con un arretramento. In totale, l’indice Msci World, rappresentativo di tutte le Borse mondiali, chiuderà il 2022 con un calo di quasi il 14%.

Obbligazionario

Se l’azionario è calato, l’obbligazionario ha subito un vero e proprio crollo. I bond chiuderanno il 2022 con perdite ampiamente superiori al 10%, registrando l’anno peggiore degli ultimi 50.

Se esaminiamo solo i governativi dell’area euro, osserviamo che l’arretramento è stato di circa il 14%. L’anno scorso tutti i bond dei paesi che adottano la nostra moneta con scadenze fino a cinque anni davano rendimenti negativi (Grecia compresa), mentre oggi non ce n’è uno che non offra performance positive (Germania inclusa: il Bund decennale è salito da un -0,17% al 2,2%).

Discorso non troppo diverso per gli Stati Uniti, dove il Treasury era già in territorio positivo (1,5%) ed è balzato oltre il 3,5%.

Inflazione spinta dal gas

Nel 2022, molte materie prime hanno raggiunto picchi preoccupanti, per poi scendere e attestarsi su prezzi più sopportabili.

Il caso più clamoroso, che ha fatto tremare le economie di mezzo mondo, è rappresentato dal gas, la cui galoppata vorticosa ha rischiato di mandare a terra l’intera Europa. Il caro-bollette – fenomeno ancora in corso, nonostante il ritorno dell’oro blu a livelli prebellici – ha provocato la chiusura di varie aziende, soprattutto in Italia e Germania, mettendo a serio rischio l’esistenza di intere filiere produttive, oltre che la solvibilità delle famiglie.

Gli interventi di alcuni paesi per arginare salassi (Spagna e Portogallo prima, Germania poi) e il calo dei prezzi hanno mitigato eventuali conseguenze. Ma nulla ha potuto fermare l’inflazione, che in Europa è meno facile da combattere rispetto a quanto avviene nel resto del mondo, proprio perché legata al prezzo del gas e ai timori di non poterne ricevere a sufficienza.

Anche per questo motivo è difficile prevedere se il metano salirà di nuovo, resterà ai livelli attuali (comunque ancora molto, troppo alti rispetto a quelli storici) o diminuirà ancora, anche grazie al tempo eccezionalmente mite che sta contraddistinguendo il periodo natalizio. Certo, se i valori del gas dovessero rimanere sotto quota 100 ci si aspetta una decisa riduzione delle bollette dal prossimo mese, o al massimo da febbraio. Se ciò non avvenisse, sarebbe doveroso indagarne i motivi ed evitare che qualche fornitore sfrutti la situazione di incertezza per interessi personali.

Petrolio sulle montagne russe

Per un certo periodo, coincidente con i record dei prezzi del gas, anche il costo del petrolio era schizzato molto in alto. Il fenomeno aveva costretto il governo italiano a diminuire provvisoriamente le accise, che notoriamente pesano sul prezzo del pieno in misura maggiore rispetto allo stesso costo del carburante. Una decisione che ha provocato anche conseguenze imprevedibili – come la situazione che ha visto il “sorpasso” dei costi benzina alle pompe svizzere (storicamente meno care) rispetto a quelle italiane.

La recente diminuzione dello sconto fiscale sul carburante, deciso dal governo Meloni, non ha influito molto sui prezzi alla pompa, rimasti stabili a causa di un calo degli indici Brent e Wti.

Ma il futuro è incerto. A provocare un nuovo rialzo del petrolio potrebbero contribuire decisioni dell’Opec+, la ricostituzione delle riserve strategiche da parte degli Stati Uniti e la ripartenza della domanda di oro nero in Cina.

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