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Le origini dei videogiochi da casa: quando la televisione accede alla rivoluzione

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Videogiochi Atari
Videogiochi Atari (© Depositphotos)

Alla fine della Seconda guerra mondiale, la società americana si trasformò rapidamente. La popolazione aumentò da 133 milioni nel 1945 a 180 milioni nel 1960, i salari crebbero e la nuova classe media cercava strumenti moderni per arricchire la vita domestica. Tra il 1948 e il 1955 quasi due terzi delle famiglie statunitensi portarono in casa un televisore, che divenne presto il centro del salotto. In quegli anni la TV non era soltanto un elettrodomestico: era un simbolo di stabilità e progresso, un oggetto che raccoglieva la famiglia dopo le difficoltà della Grande Depressione e della guerra. Lo schermo da 16 pollici, considerato sufficiente per intrattenere fino a sette persone, diventava una finestra sul mondo e al tempo stesso un rituale quotidiano. Proprio da questo legame tra televisione e vita domestica sarebbe nata l’idea di trasformare lo schermo in uno spazio interattivo, aprendo la strada al primo esperimento di videogiochi da casa.

Dal Brown Box al salotto americano

Nel 1966 l’ingegnere tedesco naturalizzato statunitense Ralph Baer ebbe un’intuizione destinata a cambiare la storia dell’intrattenimento: mentre aspettava un collega in una stazione degli autobus di New York, immaginava la possibilità di giocare attraverso lo schermo televisivo. Da quell’idea nacque il prototipo Brown Box, sviluppato insieme ai colleghi Bill Harrison e Bill Rusch presso la Sanders Associates. Nonostante lo scetticismo iniziale, il progetto venne ceduto alla Magnavox, che nel 1972 lanciò l’Odyssey, la prima console casalinga della storia. Il sistema includeva accessori come carte da gioco e sovrapposizioni colorate da applicare allo schermo, per rendere più familiare l’esperienza agli utenti. Nello stesso periodo, Atari conquistò i bar e le sale giochi con Pong, un videogioco di ping-pong digitale che divenne presto un fenomeno popolare. Nel 1975 arrivò anche la versione domestica, venduta in esclusiva da Sears con il marchio Tele-Games, che trasformò il salotto americano in un nuovo spazio ludico, inaugurando l’ingresso ufficiale dei videogiochi nella vita quotidiana delle famiglie.

L’era delle cartucce e la febbre degli arcade

La metà degli anni Settanta segnò un punto di svolta: con il Fairchild Channel F arrivarono le cartucce intercambiabili, che resero le console finalmente espandibili e non più legate a pochi titoli preinstallati. Questo ha aperto un mercato completamente nuovo, fatto di giochi acquistabili separatamente e di possibilità sempre più vaste per gli sviluppatori. All’inizio i giocatori cercavano esperienze semplici, ma presto esplose la febbre da arcade. Space Invaders, portato su Atari 2600 nel 1980, gira milioni di americani ad acquistare la console. Poco dopo arrivato Pac-Man, il titolo che trasformò un personaggio giallo a forma di pizza in un’icona planetaria. Riviste e pubblicità dell’epoca iniziarono persino a offrire consigli su come giocare meglio, alimentando la cultura della sfida e della condivisione. Non si trattava più soltanto di intrattenimento casalingo: i videogiochi erano diventati un fenomeno di massa, capace di unire la dimensione domestica con l’energia delle sale giochi.

Crollo e rinascita con il mito del NES

All’inizio degli anni Ottanta il mercato videoludico sembrava inarrestabile: negli Stati Uniti, nel 1982, le famiglie spendevano miliardi di dollari tra arcade e console domestiche. Ma la corsa sfrenata alla produzione portò a una saturazione che generò il grande crollo del 1983. Troppe console simili, giochi di bassa qualità e aspettative gonfiate dagli investitori minarono la fiducia del pubblico. Il caso più emblematico fu il titolo dedicato a E.T., rimasto invenduto in milioni di copie e sepolto letteralmente nel deserto del New Mexico. Sembrava la fine di un’industria ancora giovane, ma nel 1985 accadde l’imprevedibile: dal Giappone arrivò il Nintendo Entertainment System. Il NES, con la sua linea grigia e un catalogo ricco di titoli memorabili come Super Mario Bros., riuscì a riportare i videogiochi nelle case, vendendo oltre 60 milioni di unità nel mondo e ridefinendo per sempre le regole del mercato. Quella rinascita dimostrò che i videogiochi domestici non erano una moda passeggera, ma una nuova forma di cultura popolare, destinata a crescere e a resistere al tempo

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