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Igor Iezzi: «In Ucraina nessuno parla più di pace. L’Europa si faccia mediatrice»

Il punto sull’accoglienza ai profughi della guerra in Ucraina e sul contrasto all’immigrazione clandestina con il deputato della Lega Igor Iezzi al DiariodelWeb.it

Fabrizio Corgnati

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Igor Iezzi, deputato della Lega e capogruppo in commissione Affari costituzionali (© Agenzia Fotogramma)

Sono due i fronti dell’immigrazione che vedono impegnato in queste settimane il governo Meloni. Il primo, quello dei profughi della guerra in Ucraina, per accogliere i quali è stata attivata la protezione temporanea. Il secondo, quello dei clandestini: dopo il caso Cutro è scattata la tolleranza zero contro gli scafisti, per combattere i quali l’esecutivo si sta dotando anche di nuovi strumenti normativi. Il DiariodelWeb.it ha fatto il punto con l’onorevole Igor Iezzi, deputato della Lega e capogruppo in commissione Affari costituzionali.

Onorevole Igor Iezzi, le porte aperte agli ucraini sono una risposta a chi ha accusato il governo di non voler accogliere i profughi?
Chiariamoci su un punto. Nel nostro Paese esistono tre tipi di permessi. Due hanno a che fare con il diritto internazionale: l’asilo, che discende dalla Convenzione di Ginevra dal 1951, e la protezione sussidiaria, che discende da una direttiva europea.

E il terzo?
È di invenzione tutta italiana, la famosa protezione speciale, che un tempo si chiamava protezione umanitaria. Ecco, noi vogliamo intervenire su quest’ultima, e tuttora abbiamo l’intenzione di cambiarla con i nostri emendamenti. Perché è un salvacondotto che sana le posizioni di chi non avrebbe diritto a godere delle altre protezioni.

Sull’asilo e sulla protezione sussidiaria non si discute, insomma.
I primi due permessi non li abbiamo mai messi minimamente in discussione: anzi, riteniamo che andrebbero maggiormente seguiti per garantire a chi scappa davvero da una guerra o da una situazione di pericolo il massimo della dignità e dell’integrazione possibile.

Questo è il caso dei profughi ucraini?
Certo. Loro sono profughi veri, se rimanessero in Ucraina morirebbero sotto alle bombe, quindi non c’è il minimo dubbio che a loro vada garantita l’accoglienza più dignitosa. E il loro sogno, tra l’altro, è quello che ci siano le condizioni per tornare a casa e ricostruire il loro Paese.

Per questo fine sono in arrivo più mezzi?
Sì. Noi abbiamo confermato la protezione temporanea, anch’essa di diritto europeo ma mai applicata, che serve proprio in situazioni emergenziali, in caso di arrivo massiccio a cui le strutture di asilo non riescono a dare una risposta immediata. È eccezionale e di breve durata, perché garantisce una tutela per il tempo di richiesta dell’asilo.

Oltre a questo?
Abbiamo aumentato i fondi per aiutare i profughi che trovano una sistemazione autonoma, magari perché hanno già in Italia qualche parente o amico che lavora, come succede alla maggior parte degli ucraini. Aumentiamo il sistema dell’accoglienza diffusa con i Comuni, a ognuno dei quali viene data la possibilità di gestire un numero limitato di profughi vedendosi rifondere i costi. Poi ci sono i centri di prima accoglienza, che occupano più persone, strutture governative e quindi pagati direttamente dal Viminale. A proposito della protezione temporanea, assumeremo anche più personale nella commissione nazionale per il diritto d’asilo, perché diano risposte più veloci agli ucraini.

Tutto l’arco costituzionale è favorevole all’invio di armi in Ucraina. Ma pochi, sia da sinistra che da destra, parlano di pace, come lei stesso ha richiamato in aula.
Noi non abbiamo mai messo in dubbio l’invio di armi, perché non siamo ingenui. Sappiamo che l’Ucraina deve potersi difendere e che, se si vuole arrivare a una trattativa, non può farlo da Paese sconfitto dall’aggressore.

Una trattativa, però, va impostata.
E infatti ci stupiamo che negli ultimi mesi il ruolo di mediatore l’abbiano ricoperto prima la Turchia e ora la Cina: due Paesi che non brillano per le proprie tradizioni democratiche e liberali. Ci sembra che l’Europa, in questo contesto, sia assente. È una fornitrice di armi, come è in parte giusto, ma per vicinanza geografica, culturale ed economica alla Russia avrebbe la possibilità di dialogare per intavolare una discussione.

Invece non lo fa.
Nessuno più parla di pace. Siamo arrivati a una situazione incredibile: se sei mesi fa chiunque di noi avesse parlato di missili a lunga gittata, di uranio impoverito o di jet sarebbe stato preso per pazzo. Ora siamo in una fase diversa, in cui l’escalation sembra ogni giorno più vicina.

Bisogna fermarla finché siamo in tempo.
È evidente che serve un cambio di ragionamento, l’Europa deve ritrovare un ruolo. Lo dico provocatoriamente: in questo momento i più europeisti siamo proprio noi della Lega, perché non chiediamo che l’Europa faccia di meno, bensì di più.

Così come dovrebbe fare di più sul contrasto all’immigrazione clandestina.
Anche questo l’abbiamo sempre detto. Non abbiamo mai negato che l’immigrazione sia una problematica che deve avere un orizzonte e una risposta europei. Sembra uno slogan, ma è vero che i confini dell’Italia sono quelli dell’Europa e che, se c’è da trattare con i Paesi del Nordafrica, sarebbe più utile farlo a livello europeo. Poi c’è il tema del trattato di Dublino, della redistribuzione e ricollocazione degli immigrati, delle emissioni, dei fondi…

Tutti temi che chiamano in causa Bruxelles.
Ma la Lega, a differenza di altre forze politiche, ha anche sempre detto che non possiamo aspettare l’Europa. Se lei non sta facendo nulla, l’Italia deve comunque muoversi. Lo aveva fatto Salvini da ministro dell’Interno e anche questo governo sta iniziando. Non possiamo rimanere inermi ad accogliere clandestini nell’indifferenza degli altri Paesi europei che, dal loro punto di vista, giustamente si fanno i fatti loro.

La risposta del governo italiano dopo Cutro è sufficiente?
Si sta facendo qualcosa, ma bisogna fare di più. Il primo decreto Ong è stato importante: non era motivato dalla volontà di fermare la loro attività, ma di regolarla. Alcuni allarmi sui rapporti tra Ong e scafisti sono stati lanciati anche dai nostri 007 nella loro ultima relazione annuale. Ma tralascio questo argomento.

Perché l’attività delle Ong va regolata?
Lo ha dimostrato in questi giorni la vicenda della nave Louise Michel, bloccata perché non obbediva al richiamo di rientrare al porto sicuro dopo il primo soccorso. Loro hanno proseguito e questo comportamento ha messo a rischio la vita degli stessi immigrati, compresi alcuni bambini.

E con l’ultimo decreto immigrazione?
Facciamo un passo ulteriore. Dalle misure contro gli scafisti alla limitazione delle protezioni speciali, fino all’agevolazione dei rimpatri, vogliamo inviare di un messaggio dall’altra parte del Mediterraneo, che non è affatto secondario. Devono comprendere che chi entra in maniera irregolare nel nostro Paese va incontro a conseguenze pesanti.

Quanto all’immigrazione legale, invece, questa è molto richiesta perché agli imprenditori italiani serve manodopera.
Questa si fa con i flussi e il nostro ultimo decreto è stato più ampio di quelli degli anni passati, con alcune semplificazioni per l’assunzione di immigrati nelle aziende. Ma sempre con un’attenzione agli italiani, perché abbiamo inserito l’obbligo che, prima di assumere un immigrato, l’impresa debba verificare se c’è un nostro concittadino percettore di reddito disponibile. Ora, però, abbiamo un’altra emergenza.

Quale?
La Tunisia. Questo è un problema enorme. La maggior parte degli immigrati con i barchini arrivano da lì, compresi i seimila dell’ultimo weekend. Quel Paese va stabilizzato e lo si fa, mi duole dirlo, dando dei quattrini. Abbiamo mandato miliardi di euro alla Turchia per impedire che gli immigrati arrivassero in Germania e qualcosa andrà dato anche a Tunisi. Che sta aspettando due miliardi di euro dal Fondo monetario internazionale, a cui gli Usa dovrebbero dare il via libera, a leggere ciò che dicono i giornalisti.

Anche in questo caso l’Italia non può fare tutto da sola.
Si deve ragionare in termini di rapporti internazionali. Quello che stiamo facendo sono i colloqui, Mattarella si è recentemente recato in Nordafrica e a breve ci dovrebbe essere una nuova missione di Piantedosi insieme al ministro dell’Interno francese in Tunisia. Ma l’Ue, l’Fmi, gli Stati Uniti e magari anche l’Onu dovrebbero fare la loro parte.

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