Opinioni
Moreno Pasquinelli: «Come (e perché) nasce la guerra tra Israele e Palestina»
Al DiariodelWeb.it Moreno Pasquinelli, portavoce del Fronte del dissenso, spiega le origini e le responsabilità dei due schieramenti del conflitto in Medio Oriente
Si fa presto a sbraitare contro il terrorismo islamico e l’antisemitismo. Dietro alla narrazione banalizzata della propaganda sulla guerra tra Israele e Palestina, in verità, ci sono oltre cent’anni di vicende complesse, di contrasti, di scontri continui e soprattutto di manovre geopolitiche sulle teste delle popolazioni. Ricostruirle non è facile, ma è necessario se vogliamo comprendere davvero cosa sta accadendo, perché e quali sono le responsabilità di entrambe le parti. Il DiariodelWeb.it ha interpellato Moreno Pasquinelli, portavoce del Fronte del dissenso e grande conoscitore della zona mediorientale.
Moreno Pasquinelli, cominciamo dal principio. Quando e perché nasce la guerra tra israeliani e palestinesi?
A parte i picchi storici, il conflitto a bassa intensità dura fin dalla nascita di Israele. Ancor prima della cosiddetta nakba del 1948: in particolare dalla dichiarazione Balfour, cioè dalla presa di possesso della Palestina da parte degli inglesi, che promisero una patria ai sionisti.
Lo slogan era «una terra senza popolo per un popolo senza terra».
Peccato che quella terra fosse popolata eccome. Non solo dai cattivi e trinariciuti musulmani, ma anche cristiani ed ebrei, che furono espropriati per consentire la nascita dello Stato israeliano, un’enclave colonialista. Fin dagli anni ’20-’30 ci furono le prime manifestazioni di resistenza palestinese, che divennero ancora più eclatanti dopo la fondazione del ’48.
Con il tempo il conflitto locale ha coinvolto gli altri Stati arabi.
Israele è diventata la longa manus degli Stati Uniti per il controllo geopolitico del Medio Oriente, in piena guerra fredda. Quella zona del mondo è il punto in cui si incrociano fattori religiosi e politici, nazionali e internazionali.
Insomma, la guerra non è cominciata il mese scorso.
Questa è una bugia. Semmai, il 7 ottobre è stato un evento incredibile perché alcune formazioni della resistenza palestinese hanno dimostrato che Israele non è imbattibile. Quando i guerriglieri di Hamas hanno sfondato il muro di cinta militarizzato e sono entrati in territorio israeliano, sono stati seguiti da centinaia di ragazzi in ciabatte. Il Davide palestinese ha battuto il Golia di Israele.
Qual è il suo punto di vista sull’operato di Hamas?
Intanto Hamas non è un gruppo di terroristi ma un’organizzazione popolare di massa, parte del grande arcipelago della Fratellanza musulmana. Anche in questo caso la sua storia viene da lontano.
Da quando?
Da quando la sinistra laica palestinese, Al-Fatah di Arafat, credette nella buona fede degli israeliani e accettò l’idea di due Stati per due popoli, rinunciando alla liberazione dell’intera Palestina in favore di un piccolo Stato palestinese in Cisgiordania e a Gaza. Ma gli israeliani li ingannarono, violando ripetutamente gli accordi, costruendo insediamenti nei territori che dovevano essere indipendenti.
A quel punto?
Si aprì uno spazio enorme per organizzazioni militanti più combattive, che rifiutavano ogni accordo a svendere con i governi sionisti. Hamas è una di queste, che tengono ferma la vecchia posizione dell’Olp: un unico Stato palestinese, in cui possano convivere tutte le differenti religioni.
Quindi non è vero che vogliono sterminare tutti gli ebrei?
Vogliono distruggere un’entità sionista. Allo stesso modo in cui chi voleva sconfiggere il terzo Reich nazista non ce l’aveva con tutti i tedeschi.
Facciamo chiarezza su questo punto, perché vedo una grande confusione tra i concetti di antisionismo e antisemitismo.
Gli israeliani tirano sempre in ballo l’Olocausto, ma ora questa storia è diventata estenuante. La realtà storica è che i palestinesi sono i nuovi ebrei, Gaza è il più grande campo di concentramento a cielo aperto. Oltretutto, gli arabi sono semiti: semmai sono i tanti cittadini israeliani di nuova acquisizione, arrivati nel corso dei decenni a colonizzare la Palestina, a non venire da quella discendenza.
L’azione del 7 ottobre che conseguenze politiche ha avuto sulla leadership di Netanyahu?
Il premier è stato costretto a mettere su in quattro e quattr’otto una sorta di governo di unità nazionale, con una parte delle opposizioni. In precedenza già traballava, per il suo tentativo sintomatico di limitare fortemente i poteri della Corte costituzionale: alla faccia della democrazia israeliana.
Qual è il suo livello di consenso attuale?
Secondo i sondaggi, più della metà della popolazione è contro di lui. Secondo me, politicamente, è un morto che cammina. Ora la sua reazione è brutale, ai limiti dell’isterico, perché è in atto un vero e proprio genocidio, ma in questi giorni sono cominciati i negoziati e credo che sarà sostituito presto. Passata la buriana, in Israele scoppierà la crisi politica e il sionismo dovrà riorganizzarsi. Questo gruppo di pazzi apocalittici, che rischia di scatenare la terza guerra mondiale bombardando Beirut o Teheran, prima se ne va e meglio è per tutti.
E per l’egemonia mediorientale degli Stati Uniti che conseguenze ci sono state?
Il Medio Oriente, per loro, è una zona strategica centrale, dove hanno basi militari dappertutto, ma è parte di un puzzle geopolitico globale in cui stanno cercando disperatamente, ma invano, di mantenere l’egemonia. Vedi il caso dei Brics e la volontà dell’Arabia Saudita di aderirvi. Il mondo sta velocemente cambiando: gli ex Paesi sottosviluppati producono la metà del Pil mondiale e hanno i due terzi della popolazione.
Cosa è cambiato, sotto questo profilo, dopo il 7 ottobre?
L’estremismo di Netanyahu ha messo in grossa difficoltà gli Usa, che stanno cercando di ricomporre un sistema di alleanze. Ma Paesi moderati come la Giordania e l’Arabia Saudita si stanno sganciando dalla loro tutela e stanno criticando gli americani per l’aperto appoggio a Israele. Un appoggio di necessità, anche se una parte dell’establishment statunitense sta prendendo atto che non ci si può più basare sugli israeliani per controllare la regione.
Ha evocato i negoziati, da un lato, e la terza guerra mondiale, dall’altro. Quale sarà l’esito di questa situazione, secondo lei?
Intanto non mi pare che l’Iran e i suoi alleati vogliano alzare la posta e scatenare un conflitto regionale: anzi, stanno mantenendo una posizione che per molti palestinesi è un mezzo tradimento. Io penso che siamo già in una sorta di «terza guerra mondiale a pezzi», come disse Bergoglio; quella che Limes chiama la «guerra grande», iniziata tra Russia e Nato in Ucraina. Penso che la tendenza sarà alla progressione militaristica internazionale, anche su altri teatri geopolitici.
Si riferisce a Taiwan, con la Cina contro gli Stati Uniti?
Non necessariamente. Ma il mondo è chiaramente in ebollizione. Stiamo vivendo il passaggio da un assetto geopolitico dominato dagli americani a un altro policentrico e non credo che sarà indolore. Per ora gli Usa evitano lo scontro frontale, ma prima o poi si faranno avanti i falchi, come ai tempi di Bush, per un confronto diretto con Russia e Cina, che passerà anche per una generalizzazione del conflitto in Medio Oriente.
Come si può evitarlo?
Se i popoli non si mobilitano e non rovesciano i propri governi militaristici, la conseguenza sarà inevitabile. A mio parere è un dato oggettivo.
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Giovanni Danesi
3 Dicembre 2023 at 19:06
Articolo-intervista sconcertante. Hamas un gruppo terroristico così definito da ONU e Unione Europea perlomeno e non certo un gruppo di resistenza. Nello statuto di Hamas così come in quello dell’Autorità Palestinese e in passato di Al-Fatha vi è a chiare lettere la distruzione dello stato democratico di Israele: L‘articolo 7 della costituzione di Hamas afferma: “L’ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei e i musulmani non li uccideranno e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra e l’albero diranno: “O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo”» Questo è un fatto e certo la distinzione tra Nazismo e tedeschi è un misero sofisma.
L’intervistato dimentica la distinzione tra un atto di guerra e terrorismo evidentemente lo squartamento deliberato degli ebrei non è sufficiente. Sotto il Governo Begin, Israele offrì la soluzione dei due stai ma Arafat rifiuto proprio per non venire meno allo scopo della distruzione dello stato di Israele. La verità è che l’integralismo islamico è parte del progetto poiché lo scopo finale è di sterilizzare l’area e integrarla nell’oscurantismo islamico. La prova di ciò e nelle interferenze di Iran, Hezbollah, integralisti Yemeniti.
Questa intervista è scandalosa e visto che siamo in uno stato democratico si pubblichi pure in modo che chi ha una coscienza storica e non un puro ideologismo sinistroide si renda conto della verità