Opinioni
Salvatore Di Bartolo: «Così l’Occidente si sta autodistruggendo a forza di odiarsi»
Il professor Salvatore Di Bartolo, docente, opinionista e saggista, presenta al DiariodelWeb.it il suo ultimo libro «Peccato originale», edito da La Bussola
Si intitola «Peccato originale» l’ultimo libro del professor Salvatore Di Bartolo, docente, opinionista e saggista, edito da La Bussola e con la prefazione di Nicola Porro. Un manifesto dichiaratamente libertario, anticonformista, che mette sotto la lente d’ingrandimento l’omologazione ideologica dilagante, con l’intento di stimolare nel lettore il pensiero critico. Ecco come lo ha presentato al DiariodelWeb.it.
Salvatore Di Bartolo, qual è il «peccato originale» a cui fa riferimento nel titolo del suo ultimo libro?
Me lo chiedono tutti, perché ho volutamente scelto di lasciare nel dubbio il lettore. Se dovessi spiegarlo in una sola frase, direi che il peccato originale è essere occidentali, nello specifico maschi bianchi cattolici ed eterosessuali.
In che senso?
Nel senso che nell’Occidente, dopo secoli di predominio nel mondo, costellato anche da politiche coloniali, si sta diffondendo quell’«odio di sé» denunciato già da papa Ratzinger in un suo celebre discorso, che tra l’altro ho riportato integralmente in appendice.
Noi occidentali odiamo noi stessi, insomma?
Si sta diffondendo un pensiero secondo cui, per poterci ripulire la coscienza dal nostro passato, dalla nostra storia di carnefici nei secoli, dai soprusi che abbiamo compiuto nei confronti delle altre civiltà, dobbiamo fustigarci, flagellarci, rinnegare la nostra identità e i nostri valori fondativi.
Ci fa qualche esempio?
Il più recente è quello della scuola Iqbal Masih di Pioltello, nel milanese, che come è noto ha deciso di chiudere per la fine del Ramadan. Ma nel corso degli anni abbiamo letto decine di dichiarazioni di chi vuole cancellare il presepe o il crocifisso. Si può credere o meno, ma non si può negare che l’intero mondo occidentale sia imperniato sulle radici giudaico-cristiane.
La giustificazione è l’inclusività nei confronti delle altre culture.
Peccato che gli altri non facciano lo stesso. Vai a chiedere a un islamico di rinnegare il Corano. Si è creato un cortocircuito: per essere aperti ci stiamo autodistruggendo, prima che fisicamente, sul piano culturale e valoriale.
Ha trovato dei precedenti storici di un fenomeno del genere?
Nel libro faccio un parallelismo con la caduta dell’impero romano. Leggendo i trattati di storici molto più autorevoli di me, ho scoperto che la ragione scatenante fu la lenta decadenza dei costumi. Si diffuse l’edonismo ellenistico, la pratica di godersi i piaceri della vita senza troppi sacrifici, quindi i romani smisero di fare figli. E questa crisi demografica fu affrontata non con una politica di nascite, bensì aprendo i confini ai barbari, gli stessi che poi distrussero Roma dall’interno.
Rischiamo di fare la stessa fine?
Anche oggi si vede una sorta di fatica storica, che ci porta a rilassarci. Questa tendenza la riscontro non solo in Europa, ma soprattutto negli Stati Uniti. Penso alla cosiddetta cancel culture, la follia di eliminare dai grandi classici della letteratura, della musica o del cinema tutti gli elementi che non rispettano la nuova religione del politicamente corretto. Come «Via col vento», «Peter Pan», «Biancaneve», «La Sirenetta» o James Bond, icone che non sarebbero più ritenute abbastanza inclusive. Generazioni intere sono cresciute con questi capolavori e non mi pare che siano venute su così male.
Una sorta di censura tardiva.
Il problema è: chi ha scelto questi canoni di correttezza politica? Perché dobbiamo tutti sottostare a queste imposizioni e in nome di che cosa? Perché non posso dire liberamente quello che penso, ma devo conformare il mio linguaggio? Mi viene in mente la neolingua prefigurata da 1984 di Orwell, con tanto di polizia del pensiero per perseguire i dissidenti.
Addirittura?
Oggi basta sbagliare un termine per essere considerati razzisti, sessisti, omofobi, negazionisti: etichette buone da cucirti addosso a seconda delle diverse circostanze, per metterti idealmente al rogo e lapidarti. Una sorta di ritorno al tribunale della Santa inquisizione che bruciava gli eretici, le streghe o i libri. Ma uniformare il linguaggio e i modi di fare fa venir meno la diversità, la criticità del pensiero umano.
Negli ultimi anni, in particolare, l’intolleranza verso le idee anticonformiste è cresciuta notevolmente.
Lo abbiamo visto al tempo della pandemia, quando chi provava a mettere in dubbio le misure restrittive, la circolazione del virus o l’efficacia del vaccino veniva trattato da untore, da nemico giurato dell’umanità che contagiava tutti. La stessa cosa sta succedendo oggi con il clima: Bonelli, dei Verdi, ha presentato una proposta di legge per introdurre il reato di negazionismo climatico. Eppure, tra gli altri, il premio Nobel per la fisica John Clauser o gli scienziati Antonino Zichichi e Franco Prodi, fratello di Romano, sostengono che il cambiamento climatico sia attribuibile solo in minima parte all’attività dell’uomo, e soprattutto al sole.
Questo atteggiamento intollerante rischia dunque di minare l’intero Occidente, a suo parere?
Dall’interno, come ai tempi dell’impero romano, non per colpa di un nemico esterno. Ci stiamo suicidando per questo continuo complesso di colpa e d’inadeguatezza, come se la nostra cultura non fosse rispettosa delle minoranze, degli immigrati, delle altre confessioni religiose, credenze politiche o identità sessuali.
Eppure si può accogliere le idee degli altri senza necessariamente rinunciare alle proprie, venire a contatto con gli altri pur sapendo chi siamo.
Sono d’accordo. Il mio è un libro provocatorio, ma il mio intento non è quello di reprimere il diverso, bensì di accoglierlo senza abdicare alla mia identità. Io mi schiero a favore dei diritti e delle libertà e contro le omologazioni. Il mio pensiero potrà anche essere sbagliato e chiunque può confutarlo, ma mi deve dare la possibilità di esprimerlo.
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marino rore
1 Aprile 2024 at 8:07
Forse l’Occidente più che odiare sè stesso odia le proprie classi dirigenti, quelle classi dirigenti che propongono attivamente e attuano il modello orwelliano; che poi qualcuno approfitti dell’insofferenza per attuare per altra via la stessa agenda non deve stupire, la scuola rotschildiana insegna.
Paolo La Bua
1 Aprile 2024 at 8:39
Fabri, sicuro di non aver intervistato il generale Vannucci? Buona Pasqua.