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Politica

Giorgia Meloni, il Manifesto e l’arte di gridare al lupo

Mentre la sinistra grida alla sottomissione, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sceglie il realismo. Meglio un accordo intelligente che l’ideologia da salotto.

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Donald Trump e Giorgia Meloni
Donald Trump e Giorgia Meloni

Se c’è una specialità tutta italiana – e soprattutto tutta da sinistra – è quella di vedere capitolazioni dove ci sarebbe solo buon senso. Così, mentre Giorgia Meloni cerca di evitare una guerra commerciale con gli Stati Uniti, qualcuno dalle colonne del Manifesto alza la voce indignata: “Sottomissione!”

Quando la prudenza diventa peccato

Bayrou e Merz mugugnano, è vero. Noi, invece, facciamo qualcosa di più rivoluzionario: non ci buttiamo dalla finestra per orgoglio ideologico. Meloni ha preferito non commentare nel dettaglio un accordo ancora non scritto. Orrore!

«Non posso giudicare il merito se non conosco i dettagli», ha detto da Addis Abeba. Frase che in altri tempi si sarebbe chiamata saggezza. Oggi, invece, per certa stampa militante, è una prova di servilismo. Evidentemente, secondo loro, il patriottismo è buono solo se è imbottito d’antiamericanismo.

Il Manifesto, con la consueta eleganza sobria, parla di «ricatto Usa», di dazi al 15% e di miliardi in gas e investimenti. Ma omette un piccolo dettaglio: la guerra dei dazi danneggerebbe tutti, soprattutto noi. E se una trattativa ci consente di limitare i danni, forse – dico forse – è meglio di un proclama antimperialista con spritz in mano.

Antonio Tajani, che fa il suo mestiere, convoca le imprese, propone misure alla BCE, cerca soluzioni. Eppure il sospetto è che a sinistra avrebbero preferito un ministro barricadero, magari pronto a lanciare molotov in via XX Settembre.

Trump, Kamala e la nostalgia dell’URSS

Si leggono frasi tipo: «Con Kamala Harris sarebbe stato meglio». Eh già. Quando non si hanno argomenti, si evocano le comparse. Come se la geopolitica fosse un casting Netflix. Meloni non fa il tifo per Trump, ma nemmeno si mette a litigare con chi – per ora – ha i cordoni della borsa globale.

Un ponte tra Europa e America? Meglio un ponte che un muro. Ma per il Manifesto è troppo semplice. Si vuole il conflitto, la denuncia, il tono drammatico. Peccato che fuori dal loro giornale, il mondo vada avanti con meno retorica e più ragioneria.

Aiuti, PNRR e l’arte del possibile

Ci sarebbe poi l’accusa di cercare risorse per le imprese colpite. Come se fosse uno scandalo. Il governo chiede fondi all’Europa? E cosa dovrebbe fare, secondo loro, citare Marx a memoria e chiudere la manifattura?

20 miliardi in aiuti si potranno ricavare, forse, dal PNRR non speso o dai fondi di coesione. È la politica reale, quella fatta di vincoli, trattative, percentuali. Non di slogan e titoloni indignati.

Il coraggio di non piacere al Manifesto

Quello che infastidisce davvero, forse, è che Meloni governa senza bisogno di cercare l’applauso nei circoli radical chic. Fa il suo mestiere: tiene l’Italia fuori da una crisi commerciale, non cavalca le bandiere ideologiche, e si prepara a leggere l’accordo – prima di commentarlo.

Una cosa così semplice, da far infuriare chi ha bisogno costante di un nemico. E il nemico, oggi, è chi ragiona anziché urlare.

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