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Esteri

Erdogan e la questione Palestinese: politica, strategia e risonanza regionale

Tensioni mediorientali si acuiscono con le recenti dichiarazioni del presidente iraniano Ebrahim Raisi, che accusa Israele e Stati Uniti di aver “oltrepassato la linea rossa”. Queste parole seguono il commento di Erdogan che critica anch’egli la politica israeliana. Sul fronte diplomatico, il Qatar tenta mediazioni, mentre l’Europa resta divisa sulla questione

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Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Depositphotos)
Il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan (Depositphotos)

Recep Tayyip Erdogan, il presidente della Repubblica di Turchia, è un leader che ha saputo navigare abilmente tra i complessi equilibri geopolitici del Medio Oriente. La recente svolta della Turchia verso un sostegno esplicito alla causa palestinese, in contrapposizione a Israele, ha sollevato domande riguardanti gli obiettivi strategici di Ankara.

Il sogno di Erdogan sulla leadership regionale

La scelta di Erdogan di sostenere apertamente la causa di Gaza è in contrasto con i suoi recenti tentativi di riavvicinamento all’Occidente, come testimoniato dall’accordo per l’ingresso della Svezia nell’Alleanza atlantica. Questa apparente contraddizione mette in luce la complessità e la flessibilità della politica estera turca.

Il desiderio di Erdogan di affermarsi come leader nel mondo musulmano non è un segreto. Attraverso il suo sostegno a Gaza e altre cause islamiche, Erdogan sta cercando di consolidare la sua influenza sia a livello nazionale che internazionale.

Tra propaganda e realismo

La questione palestinese è un tema che unisce gran parte del mondo musulmano. Erdogan ha usato questo fattore a suo vantaggio, alimentando il sentimento anti-israeliano e cercando di riaffermare l’influenza turca in luoghi storici dell’Impero Ottomano.

Nonostante l’apparente retorica radicale, Erdogan è anche il leader di una Turchia che ha storici legami diplomatici e strategici con Israele. Questo rappresenta un equilibrio delicato tra la propaganda interna e le necessità geopolitiche.

La Turchia non è Araba

Essendo una nazione a maggioranza musulmana ma non araba, la Turchia ha la possibilità di mediare in modo più efficace con Israele rispetto ad altri Stati arabi. Questa posizione unica apre canali di dialogo che vanno oltre le questioni religiose.

I rapporti tra Turchia e Israele non sono semplici; entrambi i paesi hanno interessi strategici comuni, come l’Azerbaigian. Questo complesso quadro di alleanze può offrire a Erdogan la flessibilità di utilizzare la questione palestinese come leva negoziale in altri contesti.

La partita del gas e gli equilibri geostrategici

La rivalità per le risorse energetiche nel Mediterraneo orientale è un altro fattore che potrebbe giocare un ruolo nella posizione turca su Gaza e Israele. L’obiettivo di Ankara è di diventare un hub energetico regionale, che richiederebbe una qualche forma di accordo con Israele.

La questione curda è un altro elemento potenzialmente rilevante. Israele ha mostrato simpatia per la causa curda, che potrebbe essere un altro fattore nel delicato equilibrio di potere tra Turchia e Israele.

L’escalation reticente: le dichiarazioni di Raisi e il riassestamento geopolitico in Medio Oriente

Le recenti affermazioni del presidente iraniano Ebrahim Raisi, in cui denuncia i “crimini del regime sionista” e avverte di possibili azioni concrete, hanno suscitato preoccupazione su un’escalation del conflitto in Medio Oriente. In un contesto in cui altre potenze regionali e globali stanno cercando di mediare, la posizione dell’Iran e le sue implicazioni rivestono un’importanza significativa.

Le parole di Raisi non sono isolate. Sono dirette alle milizie sciite vicine all’Iran, alcune delle quali hanno già preso di mira basi statunitensi in Siria e Iraq. Raisi, in effetti, sembra stia cercando di unire queste milizie sotto un’unica bandiera ideologica contro Israele e, per estensione, gli Stati Uniti.

Il ruolo di mediazione del Qatar

Di fronte a questa retorica bellicosa, il Qatar appare come un possibile mediatore. Il premier libanese Najib Miqati ha discusso “gli ultimi sviluppi nei territori palestinesi e nella regione” con l’emiro Sheikh Tamim Bin Hamad al-Thani. Inoltre, Doha è anche la residenza del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, che ha emesso dichiarazioni fortemente emotive, mettendo in luce la complessità della mediazione qatariana.

La “frazione” europea

L’Europa sembra divisa nella sua risposta. Mentre la Norvegia ha votato a favore di una risoluzione non vincolante delle Nazioni Unite per una tregua umanitaria, altri Stati membri dell’UE come l’Italia si sono astenuti. Questa divisione indica la difficoltà nell’elaborazione di una posizione comune europea, che potrebbe altrimenti funzionere come un contrappeso significativo.

Le osservazioni del primo ministro norvegese sulle condizioni “catastrofiche” a Gaza sottolineano che, al di là delle posizioni politiche, c’è una crisi umanitaria urgente. La risposta europea, quindi, deve bilanciare la necessità di porre fine alle ostilità con l’obbligo morale di intervenire umanitariamente.

Prossime mosse a livello internazionale

Con una nuova riunione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in programma, la comunità internazionale si trova a un bivio. Le parole di Raisi potrebbero portare ad un’escalation o potrebbero rappresentare un bluff strategico. Ad ogni modo, renderanno più difficile per gli altri attori internazionali mantenere un approccio equilibrato.

In un panorama già turbolento, le affermazioni di Raisi aggiungono un ulteriore livello di complessità e urgenza. La posizione dell’Iran potrebbe sia rafforzare l’asse della resistenza che innescare un ulteriore allargamento del conflitto. In questo contesto, il ruolo di mediazione di paesi come il Qatar e l’unità (o la mancanza di essa) tra le nazioni europee potrebbe essere cruciale per determinare la direzione futura degli eventi.

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