Europa
Il realismo che non piace (a Zelensky)
Trump propone la pace cedendo la Crimea alla Russia. Un realismo brutale che divide l’opinione pubblica e sfida l’intransigenza di Zelensky. Meglio un mondo imperfetto che un cimitero ideale.

C’è una verità che tutti conoscono ma che nessuno ha il coraggio di pronunciare nei salotti buoni della diplomazia occidentale: la Crimea non tornerà mai più ucraina. È una realtà scolpita nel marmo, non per diritto divino né per giustizia storica, ma per un fatto semplice e brutale: la Russia l’ha presa, l’ha fortificata e nessuno è disposto a morire per strappargliela. Men che meno l’America.
Questa verità, scomoda quanto evidente, è ciò che l’ex presidente americano ha avuto il torto – o il merito – di dire ad alta voce. E lo ha fatto con quella ruvidezza da costruttore newyorkese, che infastidisce chi crede ancora che la politica estera sia fatta di galanterie e comunicati stampa.
L’intransigenza che non serve
Volodymyr Zelensky, l’uomo eretto a simbolo della resistenza, continua a parlare di integrità territoriale, di valori non negoziabili, di lotta fino alla vittoria. Parole nobili. Ma le parole, senza i carri armati, restano aria. E oggi, dopo due anni di carneficina e una controffensiva fallita, quella vittoria promessa somiglia sempre più a una chimera.
L’Ucraina sanguina, la popolazione è stanca, l’Occidente tentenna e il consenso popolare cala. Eppure, Kiev rifiuta anche solo di sedersi a un tavolo dove la Crimea sia parte del negoziato. Una posizione romantica, ma suicida.
Il prezzo della pace
Trump propone un accordo pragmatico: congelare i fronti, salvare il salvabile, fermare l’emorragia. Lasciare la Crimea a Mosca, non per amore di Putin, ma per mancanza di alternative. Non è una resa, è un armistizio con la realtà. Perché la realtà – quella che non si piega ai proclami – dice che nessun Paese occidentale invierà soldati a morire per Sebastopoli.
Ed è qui che si svela l’ipocrisia: chi oggi accusa Trump di cinismo, ieri voltava lo sguardo mentre la Russia prendeva la Crimea senza che nessuno muovesse un dito. La differenza? Lui almeno ha il coraggio di dire che la guerra non si combatte con le emozioni, ma con la logica del possibile.
L’America prima, l’Europa dietro
Dietro le parole del tycoon, si cela una dottrina chiara: l’America viene prima, i suoi interessi contano più dei sogni geopolitici di Bruxelles o Kiev. È un ritorno all’isolazionismo selettivo, al realismo brutale dei tempi che cambiano. E se ciò significa lasciare qualche chilometro quadrato a Mosca per salvare migliaia di vite, meglio un mondo imperfetto che un cimitero ideale.
Chi spera ancora in una pace giusta, si rassegni: la pace sarà ingiusta, come tutte le vere paci. Ma sarà una pace. L’unica alternativa è la guerra eterna, combattuta con le armi degli altri, sul sangue degli stessi. E questo, sì, sarebbe un crimine ben più grande di ogni compromesso.
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Giovanni Nicolò Puggioni
23 Aprile 2025 at 22:38
Mi sembra un discorso più realista del RE. Direi che è un discorso sensato, logico, razionale e saggio. Tutto sommato anche il più semplice da attuare.