Biella
Perché “anche” i giovani biellesi fuggono dalla Religione
La Chiesa ha perso i giovani cercando di imitarli. Biella, terra di fede, è tra le prime città per studenti che rifiutano l’ora di religione. Un fallimento spirituale travestito da modernità.

La Chiesa ha cercato per decenni di rincorrere il mondo. Ma nel momento esatto in cui ha scelto di parlare la lingua del mondo, ha smesso di parlare quella di Dio. Ha rinunciato ai suoi rituali millenari, ha sostituito l’organo con la chitarra elettrica, ha tolto l’incenso e messo il microfono a clip. Credeva, così facendo, di avvicinare i giovani. Li ha solo delusi. Perché i giovani, quando vogliono evasione, cercano l’originale, non la copia: vanno ai concerti, non in una chiesa che finge di essere un palco.
Biella: tra devozione e diserzione
Il Biellese è terra di cammini spirituali, santuari incastonati nei boschi e rappresentazioni sacre che si tramandano di generazione in generazione. Proprio qui, dove la religiosità popolare pulsa ancora nei riti e nelle pietre, i dati raccontano un paradosso: quattro studenti su dieci delle superiori rifiutano l’ora di religione. A livello nazionale gli “esonerati” sono oltre un milione e centomila, in crescita costante. Firenze guida la classifica con un 51,5%, seguita da Bologna, Aosta e appunto Biella con il suo 40,6%.
Le scuole sono diventate il nuovo terreno di scontro tra fede e laicismo. Da una parte c’è chi chiede l’abolizione del Patti Lateranensi e immagina un’Italia dove la religione è un affare privato, da relegare agli oratori e ai catechismi. Dall’altra, ci sono sacerdoti e docenti che difendono l’ora di religione come un ponte tra cultura e spirito. Ma se la religione viene piazzata in orario marginale – a inizio o a fine giornata – il messaggio è chiaro: è una materia di serie B. E i ragazzi lo capiscono.
Riscoprire il sacro
Don Luigi Bellotti, responsabile dell’insegnamento religioso a Biella, lo ammette: alle elementari l’80% dei bambini frequenta. Ma alle superiori, dove la scelta è libera, i numeri crollano. Il motivo? “A volte – dice – è lo stesso insegnante a non saper trasmettere la bellezza del messaggio cristiano”. Ma la vera domanda è: come può un insegnamento toccare l’anima se ha smarrito il sacro?
La crisi della Chiesa non è nella mancanza di giovani, ma nella mancanza di verticalità. Ha abbassato lo sguardo verso le mode, anziché elevarlo verso il mistero. Ha confuso il silenzio della preghiera con l’imbarazzo del vuoto. Eppure, proprio nei santuari, nei cammini, i giovani riscoprono ancora oggi una fede vissuta, non sbandierata. Perché non hanno bisogno di una religione travestita da show. Hanno bisogno di un senso. E magari, di un Dio che non ha paura di restare Dio.
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