Vaticano
Cristo non è un titolo, è un fatto
Uno spettacolo indegno per chi crede: il circo mediatico intorno al Papa rimuove Cristo e celebra il potere. È tempo di silenzio, Fede e Verità.

C’è un momento, ricorrente e imbarazzante, in cui le telecamere tornano a indugiare sui marmi vaticani, i microfoni si fanno becco, le tastiere febbrili. È la morte di un Papa. Allora il mondo intero, quello che della Fede non sa nulla e di Cristo ancora meno, si sveglia e si accampa davanti alla Cupola come davanti a un tempio pagano. Non per ascoltare, ma per misurare il potere. Non per pregare, ma per fotografare il trono vacante. Non per cercare Dio, ma per scrutare il prossimo sovrano.
Ateismo vestito da devozione
L’ipocrisia si manifesta con eleganza: dibattiti, retroscenismi, biografie improvvisate. Si chiamano “laici”, ma sono devoti al potere più di ogni cardinale. Non si inginocchiano davanti al Santissimo, ma fanno la fila per un posto in prima fila durante il conclave. Perché se c’è un idolo che un ateo non ha mai smesso di adorare, è il potere. E il Vaticano, coi suoi ori e i suoi silenzi, ne è la massima rappresentazione scenica.
Cristo, intanto, scompare. Sparisce dai discorsi, dai commenti, persino dai riti. Diventa un’appendice, un richiamo retorico, una figura simbolica. Eppure, senza Cristo la Chiesa è un guscio vuoto, un Parlamento in tonaca, un teatro liturgico.
La fede non si misura in gradi cardinalizi
Chi crede davvero sa bene che nessuno è mai diventato cristiano per un conclave, o per un papa carismatico, o per un’omelia applaudita. La fede nasce dalla carne di Cristo, non dalla porpora dei suoi servitori. La fede è un fatto personale, drammatico, interiore. Non un evento da seguire in diretta con commentatori d’eccezione.
Il Papa, quando è davvero tale, non inventa nulla: ripete ciò che è già scritto, e lo fa con umiltà. Ogni volta che diventa personaggio, perde il suo ruolo. Ogni volta che un cristiano si sente più vicino al Papa che al Vangelo, ha sbagliato direzione.
L’idolatria della cronaca
Questi giorni di attesa, queste settimane di suspense, sembrano scritte da una redazione profana. Si scommette, si vota, si elabora. Come se il destino della Chiesa dipendesse dal cappello che si poserà su una testa bianca. È uno spettacolo per idolatri, per chi ama la scenografia più della croce, per chi adora il cerimoniale e dimentica l’essenziale.
Cristo non è un accessorio della Chiesa. Cristo è la Chiesa. E quando Lui sparisce, rimane solo un palcoscenico vuoto. Che si riempie di indovini, di turisti dell’anima, di curiosi senza fede.
Un auspicio: il ritorno al silenzio
Che tutto questo finisca in fretta. Non per cinismo, ma per rispetto. Non per polemica, ma per decenza. Il dolore di una Chiesa non dovrebbe essere un festival. Il lutto di un popolo non merita la pornografia della cronaca. Cristo non si elegge. Non si trasmette. Non si vota. Si incontra.
E l’incontro avviene nel silenzio, nella preghiera, nella solitudine di chi cerca una verità più grande di sé. Tutto il resto – i titoli, le analisi, i cortei di telecamere – è polvere. È vanità. È rumore.
Continua a leggere le notizie di DiariodelWeb.it e segui la nostra pagina Facebook
