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Vaticano

Il Conclave dei silenzi (e di Parolin)

Cardinali frustrati, dibattito pilotato e promesse sottobanco: il conclave si trasforma in un’operazione di potere manovrata da Pietro Parolin, tra silenzi forzati e retroscena inquietanti.

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Cardinale Pietro Parolin
Cardinale Pietro Parolin (© DDW)

La manipolazione delle Congregazioni generali non è più un sospetto: è una realtà che prende corpo nei volti frustrati di cardinali venuti da ogni continente, desiderosi di dialogo, e costretti invece a subire un’agenda scritta altrove, decisa da Pietro Parolin e Kevin Farrell. Il primo, ex Segretario di Stato, manovra con maestria. Il secondo, camerlengo, garantisce l’apparenza del rito.

Ma sotto questa apparenza, si consuma un gioco oscuro: ridurre il tempo, selezionare chi parla, comprimere i temi, evitando ciò che davvero conta. È l’ombra lunga di un pontificato autocratico, quello che ha saputo generare 135 elettori – contro i 120 previsti – senza però dare loro tempo e modo di conoscersi e conoscersi tra loro.

Un conclave per corrispondenza

Nessuna vera discussione. Nessun serio confronto. Solo una corsa verso il 7 maggio, giorno fissato senza dibattito, senza possibilità di replica. Si tagliano i minuti agli interventi – da dieci a cinque –, si dimenticano interi cardinali, si costruisce un clima in cui fare domande significa mettersi contro l’ordine costituito.

Il dubbio s’insinua: vuolsi affrettare il conclave per blindare un nome, quel nome che da mesi si sussurra nei Sacri Palazzi e fuori: Parolin. L’uomo che vuole presentarsi come il naturale successore di papa Francesco, rassicurando i nostalgici della continuità e blandendo gli scontenti con promesse confezionate ad arte.

Il caso Becciu e la firma fantasma

In questa strategia, la gestione del caso Becciu è emblematica. Dopo giorni di dubbi, Parolin estrae due lettere: una del 2023, l’altra firmata nel marzo 2025 da un Papa già morente. Nessuna notifica ufficiale, solo una rinuncia pilotata, con il retrogusto amaro del ricatto o della contropartita. E il silenzio – come sempre – si impone.

La strategia di Parolin è chirurgica: sa che non ha i numeri pieni. E allora offre concessioni: cancellare Traditionis Custodes e Fiducia Supplicans in cambio del sostegno. Una mano tesa ai tradizionalisti. Ma basterà per raggiungere il quorum?

Il fallimento cinese

L’accordo con la Cina, firmato nel 2018 e rinnovato, ha legittimato il controllo del Partito Comunista sulla Chiesa patriottica, abbandonando i fedeli sotterranei. Le nomine vescovili approvate congiuntamente si contano sulle dita. E Pechino, alla morte del Papa, ha nominato due vescovi senza consenso vaticano: uno schiaffo e la prova del fallimento di Parolin.

Il silenzio obbligato del cardinale Zen

Il cardinale Joseph Zen, 93 anni, è a Roma. Ma non può parlare: dire la verità su Cina e Parolin significherebbe per lui il carcere. Il suo silenzio è un monito per chi crede ancora che “papa Parolin” sia il male minore.

Il rischio è chiaro: un Papa scelto non per visione, ma per calcolo. La Chiesa affidata ancora a chi sa promettere e negoziare, ma non ascoltare. Così si prepara il futuro. Ma senza parlare del presente.

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