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Opinioni

Valerio Savioli: «La pesca di Esselunga? Cercano una nuova nicchia di mercato»

Valerio Savioli, autore del libro «L’uomo residuo», spiega al DiariodelWeb.it il sistema di potere economico e politico che sta dietro al politicamente corretto

Fabrizio Corgnati

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Un fotogramma dello spot di Esselunga

«Cancel culture, politicamente corretto, morte dell’Europa». Tre fenomeni molto discussi, quelli elencati nel sottotitolo de «L’uomo residuo», l’ultimo libro di Valerio Savioli, di strettissima attualità, ma anche legati tra di loro da un filo rosso sottile e poco appariscente. Quello che li lega a un processo ancora più profondo, che non tocca solo il sistema culturale ma anche quello politico ed economico in cui viviamo. Ecco cosa ha raccontato l’autore in quest’intervista ai microfoni del DiariodelWeb.it.

Valerio Savioli, che cos’è questo «uomo residuo» a cui fa riferimento il titolo?
Quello che segue all’antico Homo religiosus, all’Homo faber e infine all’Homo oeconomicus, altrimenti detto Uomo consumatore. Dopo la cosiddetta fine della storia, a mio modo di vedere, si è venuto a creare l’Uomo residuo, funzionale al sistema di potere del politicamente corretto.

Di questo sistema si occupa il suo libro?
A fronte di tante ottime pubblicazioni che si occupano del politicamente corretto, io ho cercato di analizzare l’impatto antropologico di questo processo storico. Che, secondo me, ha origine nell’Illuminismo, nel nichilismo, nella desacralizzazione o secolarizzazione dell’Occidente.

In che modo?
Il culto del progresso ha prodotto una visione meccanicistica della realtà. Questo processo, a livello accademico e culturale, si è sintetizzato nella Scuola di Francoforte, nel marxismo e così via. Ma non solo: ha giocato un ruolo anche l’impulso di questa nuova forma di capitalismo, che oggi chiamiamo woke, in particolare negli Stati Uniti.

Ma chi ci guadagna esattamente e in che modo?
Stiamo assistendo alla sostituzione del potere decisionale della politica da parte di questi grandi conglomerati, alla veicolazione dei messaggi del politicamente corretto nelle dinamiche economico-finanziarie. Lo spazio dei governi e delle democrazie viene soppiantato dai grandi interessi economici.

Ci fa un esempio?
Ci sono casi molto interessanti. Penso a quello di Guido Barilla nel 2013 che, intervenendo alla trasmissione radiofonica La Zanzara, si disse sostenitore della famiglia tradizionale. Seguì una polemica generale che costrinse l’azienda a riposizionarsi. Ma a oggi la dinamica è cambiata.

Cosa intende dire?
Che sono le aziende stesse ad anticipare messaggi politici: come Gillette, Budweiser o Nike con l’atleta Colin Kaepernick, sostenitore di Black Lives Matter. Un recente sondaggio dell’ente Gallup testimonia che la maggioranza degli statunitensi sono stanchi di questa dinamica, anche se per ora si continua in tal senso.

In questi giorni si parla tanto dello spot della pesca di Esselunga: forse è l’inizio di una controtendenza?
Da figlio di divorziati devo ammettere che la scena mi ha toccato, mi sono rivisto. Ma, per analizzare la questione più freddamente, forse una grande catena di supermercati ha voluto semplicemente accaparrarsi una fetta di mercato che oggi non si sente rappresentata.

Da una parte o dall’altra il meccanismo resta quello di utilizzare l’ideologia a fini commerciali, insomma.
Esatto. Per non parlare del fatto che durante il Covid le grandi corporate da una parte facevano grandi donazioni, mandando un messaggio moralistico, dall’altra hanno enormemente ingigantito i loro profitti.

Nel libro lei tocca anche il tema dell’ambientalismo. Che ruolo ricopre in questo discorso?
Un ruolo importante. Io, come tutte le persone di buonsenso, ho a cuore il benessere del contesto in cui viviamo. Ma mi aspetterei che i movimenti di protesta contestassero le vere ingiustizie del sistema, che invece sembra riciclarsi.

In che senso?
Parlo del cosiddetto greenwashing. Un’azienda mostra di non vendere più automobili ad alte prestazioni, ma veicoli ecologici. Intanto le disuguaglianze economiche crescono, i patrimoni si accentrano in sempre meno mani. È questo che andrebbe contrastato, altrimenti si fa il gioco del sistema.

Come mai non lo fanno?
Le recenti inchieste del giornalista Roberto Vivaldelli hanno svelato i collegamenti tra questi movimenti e le concentrazioni finanziarie che fanno capo agli ex petrolieri della famiglia Getty. Questo è un elemento che non va sottovalutato.

C’è il rischio di una strumentalizzazione di queste battaglie nobili?
Il grande risultato del politicamente corretto è la ridefinizione delle priorità. In questi ragazzi, animati da nobilissimi intenti, viene generata la cosiddetta ecoansia. In questo modo si concentra l’attenzione su questi temi e le ingiustizie strutturali del sistema passano in secondo piano.

E noi ci finiamo in mezzo.
Per molti secoli noi esseri umani siamo stati al centro del sistema. Oggi non siamo più protagonisti, siamo rimasti solo i responsabili principali, colpevoli di ogni cosa. Invece l’uomo è capace di cose ignobili, ma anche dell’esatto contrario.

Se siamo capaci di rovinare l’ambiente siamo anche in grado di salvarlo.
Ci vuole senso della misura. Mi piacerebbe un dibattito anche duro, ma senza esorcizzare la controparte: che non serve a niente, se non a mantenere il sistema vigente.

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