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Opinioni

Davide Rossi: «Le banche falliscono perché il sistema finanziario è al capolinea»

Al DiariodelWeb.it la guerra in Ucraina e la crisi finanziaria nella lettura dell’analista politico Davide Rossi, autore del libro «L’economia delle emergenze»

Fabrizio Corgnati

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Ubs acquisisce la banca svizzera Credit Suisse (© Agenzia Fotogramma)

Prima il Covid, poi la guerra in Ucraina, ora la crisi delle grandi banche. L’epoca storica in cui viviamo sembra segnata dal costante inseguimento di un’emergenza dietro l’altra: tanto che la successiva emerge quando la precedente non è ancora cessata, senza alcun momento di tregua. E ciò non avverrebbe solo perché viviamo in una fase particolarmente sfortunata. Secondo l’analista politico Davide Rossi, che ha alle spalle quindici anni di esperienza nelle istituzioni italiane, dietro ci sarebbe un preciso disegno. Quello che ha esposto nel suo ultimo libro «L’economia delle emergenze» (edito da Arianna Editrice) e che racconta in quest’intervista ai microfoni del DiariodelWeb.it.

Davide Rossi, siamo passati senza soluzione di continuità dall’emergenza pandemica a quella bellica a quella finanziaria. È un caso?
Io non ho mai creduto al caso, credo che tutto quello che avviene abbia un senso. E gli studi che ho compiuto in quest’ultimo libro, con il prezioso contributo del professor Fabio Vighi dell’Università di Cardiff, mi hanno portato a concludere che questo susseguirsi incessante di emergenze sia diventato uno schema di governo. Una modalità voluta dalle classi dirigenti internazionali e indispensabile, in questo momento storico.

Quindi c’è un filo conduttore.
So che sostenendolo verrò accusato di essere complottista, ma se non lo facessi, al contrario, sarei ottuso. Del resto la storia del potere è fatta di congiure, di inganni, di tradimenti: dal Rinascimento alle corti papali all’impero romano.

E stavolta chi c’è dietro?
Il mondo dell’alta finanza internazionale. Che esprime il potere del denaro ed è dominante da parecchi decenni, molto di più rispetto agli Stati stessi e all’economia reale. Pensiamo che l’entità delle transazioni finanziarie nel mondo, in un anno, equivale al 350% del Pil globale. E nel solo mercato delle valute, il Forex, ogni giorno si scambia un controvalore di duemila miliardi di dollari. Più del Pil annuale dell’Italia.

L’ordine di grandezza è gigantesco.
Dobbiamo per forza leggere ciò che accade alla luce di questi interessi, che sono troppo potenti e pervasivi. Allora, da uno studio del professor Vighi, emerge che l’emergenza Covid e i lockdown sarebbe stata salvifica per la sorte dei mercati finanziari internazionali. O quantomeno ne avrebbe spostato in là nel tempo l’implosione, i cui sintomi vediamo manifestarsi solo oggi.

In che modo?
Tutto inizia nel 1971, quando Nixon decise di superare la convertibilità del dollaro, cioè che nei forzieri della banca centrale americana non doveva più esserci depositata una pari quantità d’oro rispetto alla moneta circolante. Da quel momento in poi si è potuto stampare valuta in misura illimitata: è iniziata l’iperfinanziarizzazione del mondo.

Quando questo meccanismo è andato fuori controllo?
Nel 2008, allo scoppio della bolla dei mutui subprime. Che ha evidenziato l’esposizione debitoria del casinò dell’alta finanza. Negli anni precedenti le banche centrali, che sono di proprietà dei grandi istituti di credito privati, stampavano denaro per operazioni altamente speculative, legate ad esempio ai contratti futures. Scommesse sul nulla, che costituiscono la principale attività delle banche internazionali.

Ogni tanto queste scommesse le perdono.
E si ritrovano in pancia una quantità enorme di titoli derivati, che non valgono più nulla. Da lì è scaturita la crisi del 2008. Per evitare che il sistema crollasse, le banche centrali hanno iniziato a immettere nei circuiti finanziari un quantitativo di moneta senza precedenti nella storia dell’umanità. La sola Federal Reserve, tra il 2007 e il 2009, stampò oltre undici trilioni di dollari.

In Europa abbiamo avuto il famoso Quantitative easing della Bce di Mario Draghi.
Esatto. Questo ha tenuto in piedi il sistema, ma tutto il denaro è finito principalmente sui mercati finanziari, quindi l’entità delle bolle speculative è ulteriormente aumentata. Qualcosa, inevitabilmente, è sgocciolato anche nell’economia reale, creando un potenziale rischio inflattivo.

Eppure neppure tutto questo è bastato.
In una notte di settembre 2019 la liquidità scambiata tra gli istituti finanziari si congela, i tassi passano dal 2 al 10%. La crisi è conclamata. La Banca dei regolamenti internazionali chiede alle banche centrali programmi ancora più possenti di quelli, già enormi, degli anni precedenti. E la Fed inizia infatti a stampare nuova moneta.

Quindi il rischio inflazione aumenta ulteriormente.
Proprio in quel momento si manifesta la pandemia. Sarà una coincidenza o sarà la volontà di qualcuno: sta di fatto che i lockdown costituiscono il più potente strumento di deflazione nella storia del genere umano. Si congela l’economia reale, si impediscono i consumi e la produzione, a parte quella dei beni essenziali. In quei mesi le banche centrali possono risistemare l’architettura finanziaria fuori controllo, senza far esplodere l’inflazione.

Come si è arrivati oggi ai fallimenti, o alle enormi difficoltà, delle grandi banche?
Perché i lockdown hanno tamponato la crisi, ma non hanno risolto il problema. Il sistema finanziario, basato sulla carta straccia stampata dalle banche centrali, è decotto, al capolinea. E le classi dirigenti internazionali hanno bisogno di tempo per introdurne uno nuovo.

Quale?
Quello delle cosiddette Central bank digital currency: le valute digitali emesse dalle banche centrali. Così molte banche commerciali, come la stessa Credit Suisse, saranno messe fuori gioco perché la banca centrale, direttamente, fornirà la moneta di cui i cittadini hanno bisogno, attraverso tecnologie come i wallet.

Come avverrà questo cambio di paradigma?
Le banche private appaiono alla frutta, inaffidabili, mentre quelle centrali stanno facendo la figura dei salvatori della patria, come già ai tempi di Draghi. Anche in Svizzera la Credit Suisse è stata salvata dalla banca centrale, che ha imposto l’acquisizione da parte di Ups. Questa crisi, dunque, è funzionale a far passare l’idea nell’opinione pubblica.

C’è un problema: che, se le banche centrali ci forniranno direttamente la moneta, allora potranno anche stringere i cordoni del controllo.
Assolutamente sì. Questo implicherà anche una veloce eliminazione del contante, unico strumento di libertà e autonomia monetaria rimasto ai cittadini. Per questo è nel mirino da tempo, non certo per combattere l’evasione fiscale.

Come pensa che andrà a finire questa crisi bellica?
La guerra credo che sarà spremuta all’inverosimile, scongiurando ogni possibile trattativa di tregua. Anche in questi giorni, di fronte a un tentativo da parte della Cina, subito si è provveduto a incriminare Putin alla corte penale internazionale.

Non si lavora veramente a una pace.
Anzi, si soffia sul fuoco per dilatare l’emergenza il più possibile, per dare l’alibi alle banche centrali per continuare a stampare moneta e spaventare i cittadini, inducendoli a cedere pezzi di libertà individuale. Ma credo che alla fine un equilibrio in Ucraina si troverà.

Nessuna terza guerra mondiale, insomma?
Spero di no e non lo penso. Secondo me, invece, saranno destabilizzati diversi quadranti del mondo, dal Medio Oriente all’Asia, con la questione di Taiwan. Come già disse anni fa Papa Francesco, si combatterà una «terza guerra mondiale a pezzi», non un conflitto aperto tra Occidente e Russia con l’utilizzo di bombe nucleari.

E la crisi finanziaria?
Ha già sortito l’effetto voluto, perché molte banche centrali hanno ricominciato a stampare denaro, dopo il calo dovuto all’esplosione dell’inflazione. La scorsa settimana la sola Federal Reserve, in cinque giorni, ha stampato qualcosa come 290 miliardi di dollari.

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