Opinioni
Ennio Bordato: «I russi amano noi italiani alla follia, nonostante la politica»
Ennio Bordato racconta al DiariodelWeb.it l’esperienza di aiuto umanitario in Russia e Ucraina dell’associazione che presiede, Aiutateci a salvare i bambini
In mezzo all’odio della politica e alla distruzione delle bombe, sui territori ucraini devastati dalla guerra spunta anche qualche sporadico fiore della solidarietà e dell’aiuto umanitario. Uno di questi è stato piantato dall’Italia, popolazione storicamente amica del mondo ex sovietico. È l’esperienza dell’associazione di volontariato Aiutateci a salvare i bambini, che il presidente e fondatore Ennio Bordato racconta ai microfoni del DiariodelWeb.it.
Ennio Bordato, quando e perché nasce la vostra associazione?
Nel 2001, per rispondere agli sconvolgimenti epocali avvenuti negli anni ’90 nei Paesi ex sovietici. Dove il tasso di mortalità era schizzato alle stelle, la situazione sociale era fuori controllo, le famiglie non esistevano a più, si contavano centinaia di migliaia di orfani e il welfare era scomparso del tutto.
E lei come entrò in contatto con questa realtà disastrata?
Frequentando, per motivi culturali, la Russia da qualche anno mi posi l’obiettivo umanitario di fare qualcosa, grazie alla collaborazione con un gruppo che ha fatto la storia del volontariato nella Russia post-sovietica, fondato da un prete ortodosso, padre Aleksandr Men’, alla clinica pediatrica Rdkb, la più importante della Federazione russa.
Quali obiettivi avete raggiunto in questi anni?
Subito dopo l’attentato terroristico di Beslan abbiamo ospitato a Trento 63 ex ostaggi, intervenendo con l’aiuto degli psicologi dell’Università di Padova. Abbiamo finanziato il primo reparto per la cura delle malattie orfane rare e la prima foresteria pediatica per i reparti di oncoematologia e oncologia alla Rdkb, abbiamo formato medici.
In particolare quando vi siete interessati all’Ucraina?
Nel 2014, quando è scoppiata la guerra civile e ci hanno chiesto aiuto umanitario. Abbiamo cominciato a finanziare singole famiglie e progetti comunitari, dagli ospedali alle scuole agli orfanotrofi, sia per la popolazione del Donbass che per i bambini che vivono sotto l’amministrazione del governo di Kiev, senza fare distinzioni.
Come avete visto cambiare quel territorio negli ultimi anni?
Se prima il dramma era diventato normalità e nessuno ne parlava, dal 2022 la situazione umanitaria è precipitata. L’economia ucraina è crollata del tutto, le madri non sanno letteralmente come dar da mangiare ai figli, non arriva più acqua bevibile.
Qual è il loro rapporto con il popolo italiano?
I russi ci amano alla follia da sempre. Riescono ancora a distinguere la politica ufficiale italiana, che sappiamo essere poco pacifista, dal popolo, che in maggioranza è contrario alla guerra in Ucraina. Ma questa distinzione è sempre più difficile. Noi rimaniamo forse l’unico strumento che mantiene vive l’amicizia e la fratellanza italo-russa.
E i nostri connazionali vi danno una mano?
Certo. Dall’anno scorso le donazioni sono incrementate, cioè da quando si è cominciato a parlare del Donbass e le persone si sono rese conto della situazione. Il problema continua a essere presentato da una becera propaganda a senso unico, che dipinge la tragedia del popolo ucraino come un videogioco. Gli italiani hanno iniziato a provare nausea per questo e molti hanno scoperto la nostra associazione e ci sostengono.
Quali sono i prossimi progetti a cui state lavorando?
Quello che ci coinvolge in maniera particolare è la neonatologia di Mariupol, perché è un simbolo: la rinascita di una città che prima era pacificamente divisa tra ucraini e russi e oggi è semidistrutta. Siamo intervenuti nell’aprile 2022, quando era ancora occupata dagli eserciti. Abbiamo aiutato un centinaio di bambini e una cinquantina di puerpere che avevano partorito sotto le bombe. Nell’arco dello scorso anno abbiamo donato attrezzature e continuiamo a farlo.
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