Opinioni
Francesco Petrelli: «Finalmente un governo che vuole superare il giustizialismo»
L’avvocato Francesco Petrelli, autore del libro «Critica della retorica giustizialista», commenta al DiariodelWeb.it la battaglia garantista di Meloni e Nordio
È stata la stessa premier Giorgia Meloni, nel suo appuntamento periodico sui social, a fissare le parole chiave per la riforma della giustizia «molto seria e ampia» a cui sta lavorando con il ministro Carlo Nordio: certezza della pena e dei tempi del processo, ma anche garanzie per i condannati e i processati. Dopo anni in cui è dilagato il giustizialismo, insomma, sembra che qualcosa si stia muovendo sul fronte di un ritorno al garantismo. Il DiariodelWeb.it ne ha discusso con l’avvocato Francesco Petrelli, già segretario dell’Unione delle camere penali, autore del libro «Critica della retorica giustizialista» (edito da Giuffrè).
Avvocato Francesco Petrelli, partiamo da tre casi di stretta attualità: Juventus, Soumahoro e Qatargate. A prescindere da come la si pensi sul merito delle singole questioni, sui media non si è operata per l’ennesima volta una narrazione giustizialista?
Leggiamo delle frodi che sarebbero state consumate in una società sportiva e già ci siamo fatti un’idea della responsabilità degli amministratori, della gravità dei fatti, della necessità di un’immediata sanzione. Così anche per le presunte malefatte dei familiari di un giovane deputato. O per l’altra vicenda che trascende i confini nazionali, ma ha un’impronta fortemente italiana.
In che senso?
Che noi, quel modello, lo abbiamo conosciuto bene ai tempi di Mani Pulite: l’uso strumentale della custodia cautelare, una sostanziale barbarie che vediamo reiterata in ambito europeo in nazioni nelle quali pensavamo che ci fosse una sensibilità diversa. Questo ci fa riflettere su quanto sia importante tener salde le legislazioni sui valori convenzionali e costituzionali della tutela della libertà.
Per noi è un deja vu.
Pensiamo a quello che ha subito una delle indagate: allontanata, nonostante la custodia anche del padre, da una figlia di meno di due anni. Questo, la nostra giurisprudenza processuale nazionale, non lo avrebbe consentito. Questo ci deve far riflettere sulla degenerazione che il populismo e il giustizialismo hanno operato non solo in Italia.
Insomma, anche questi accusati sono già stati trattati futuri condannati.
Il filo conduttore che unifica queste, come tante altre vicende di cronaca giudiziaria, sta proprio nel modo in cui la conoscenza dei fatti processuali viene anticipata al momento dell’emersione dell’accusa. C’è una distorsione che appartiene alla cultura contemporanea: si crede che basti la formulazione dell’accusa a far toccare con mano la verità dei fatti e delle responsabilità.
Da dove deriva questa cultura?
Non è facile dirlo. Probabilmente convergono tante diverse ragioni. C’è ovviamente quella della comunicazione: tutto è divenuto molto più rapido, emotivo e istintivo. Una volta l’unico veicolo d’informazione era la carta stampata, che imponeva dei tempi di lettura, di riflessione, di meditazione. Una modalità di comprensione del mondo circostante molto diversa rispetto ai social.
Si è passati dallo «sbatti il mostro in prima pagina» allo «sbatti il mostro sulla home page»…
Quella che chiamiamo tirannia dell’immediatezza. Che ha due significati: quello cronologico, per cui bisogna reagire immediatamente agli stimoli che ci giungono, ma anche disintermediazione. Tra l’informazione e la nostra reazione non si interpone più alcuna riflessione, alcuna valutazione delle opinioni alternative o delle possibili ricostruzioni diverse dei fatti.
Con quest’ultimo governo, però, la politica sta cercando di riprendersi degli spazi. Quelli che aveva perso a vantaggio dei governi tecnici e di coalizione ma anche della giustizia, da Tangentopoli in poi.
Dopo molti anni ci troviamo di fronte a un governo politico, incarnato da partiti che, sia pur con qualche contraddizione, si dicono liberali e garantisti.
Dunque la presenza di un ex magistrato notoriamente garantista come Nordio a via Arenula è una buona notizia?
Indubbiamente sì. Il problema è che si innesta su una situazione politica e culturale logorata nel tempo. Purtroppo ci siamo abituati a vedere la giustizia penale non come un obiettivo da raggiungere sulla base di valori condivisi e stabili, ma come un oggetto di lotta politica. Ci hanno abituato a vedere il processo come una clava da agitare nei confronti dell’avversario, o viceversa come una garanzia da invocare nei confronti del compagno di partito.
Si rischia che questa sottocultura contamini anche la discussione avviata dal ministro, ad esempio verso la riforma delle intercettazioni o la separazione delle carriere?
Già la sta contaminando. E un’ulteriore complicazione viene dal doppio passo che questo governo garantista ha manifestato dichiaratamente fin dall’inizio. Una dicotomia totalmente irrazionale e impraticabile, sia sotto un profilo logico che costituzionale.
Quale?
La distinzione tra il garantismo nella fase del processo e il giustizialismo in quella dell’esecuzione. Anziché porre al centro delle riforme la dignità della persona, che sia indagato, imputato o condannato, quest’ultimo viene reificato. Si invoca che marcisca in galera e che venga buttata via la chiave.
Qualcosa si muove, insomma…
…ma non sempre nella direzione giusta.
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