Opinioni
Gianandrea Gaiani: «C’è un piano per fermare in fretta la guerra a Gaza»
Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, commenta al DiariodelWeb.it la situazione geopolitica dopo lo scoppio della guerra tra Israele e Palestina
L’attacco terroristico di Hamas al territorio israeliano del 7 ottobre scorso, oltre a provocare la recrudescenza del conflitto in Palestina, ha avuto conseguenze pesanti anche sul piano geopolitico internazionale. In Israele, da una parte, il premier Benjamin Netanyahu rischia la fine della propria carriera da leader; in Occidente, dall’altra, con le tensioni in Medio Oriente e nel mondo arabo è tornata in bilico la politica energetica. Il DiariodelWeb.it ne ha parlato con Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa e già consigliere per le politiche di sicurezza di due ministri.
Gianandrea Gaiani, partiamo da Israele e in particolare dal premier Netanyahu. Che impatto avrà questa guerra sul suo futuro politico?
Lo vedremo, adesso è difficile fare valutazioni. C’è chi dice che, comunque vada, la sua carriera politica è finita: un sondaggio uscito due settimane fa riportava che la maggior parte degli israeliani è favorevole a una campagna dura e spietata a Gaza, ma l’80% attribuisce a Netanyahu e al suo governo delle responsabilità per quanto è accaduto il 7 ottobre.
Insomma, rischia di pagare un prezzo.
I sondaggi vanno sempre presi con le molle e gli umori sono variabili, ma può essere. Non sappiamo ancora come finirà il conflitto, quando finirà, che costi comporterà, se si allargherà: ci sono troppe variabili per capire cosa succederà a Netanyahu. Può anche darsi che un’eventuale vittoria gli permetta di invertire la tendenza.
Ritiene che abbia gestito bene l’emergenza del 7 ottobre?
L’ha gestita nell’unico modo possibile: allargando il governo, riprendendo il controllo dei territori israeliani attaccati dalle milizie di Hamas e scatenando una risposta militare che ha l’obiettivo di eliminare la minaccia dai confini. Credo che qualunque altro premier non avrebbe potuto reagire diversamente.
In effetti non è certamente la prima volta.
Ai periodici attacchi di Hamas Israele aveva già risposto con operazioni militari terrestri nella Striscia, poi fermate dall’iniziativa diplomatica internazionale, emotivamente e politicamente mobilitata dalle immagini delle distruzioni e delle vittime civili. Che a Gaza sono inevitabili, un po’ per la densità abitativa, un po’ perché le milizie irregolari come Hamas usano sempre i civili come scudo umano e arma mediatica.
L’obiettivo di eliminare Hamas è chiaro. Ma un piano per il dopo, per la gestione della Striscia di Gaza, c’è?
Il piano di Israele è mantenere il controllo della parte settentrionale, per creare una zona cuscinetto tra la zona palestinese e il territorio israeliano. Sarebbe ufficialmente la fine del progetto, varato all’inizio di questo millennio, con cui Israele cedeva territori in cambio della pace.
Ci spieghi meglio.
Nel 2000 il governo Barak si ritirò dal Libano del sud in cambio della fine degli attacchi di Hezbollah: in realtà quel ritiro non ha portato la pace ma ha aumentato la vulnerabilità di Israele. Nel 2005 il governo Sharon si ritirò da Gaza, abbandonando anche diverse colonie ebraiche: ma Hamas prese il controllo della Striscia e ricominciò a colpire Israele. Dunque il progetto, su cui l’Occidente aveva premuto per arrivare ai famosi due Stati, è fallito e si rischia di tornare indietro di 25 anni.
La comunità internazionale, invece, ce l’ha un piano alternativo?
L’unica opzione ragionevole, secondo me, è portare fuori da Gaza non i civili palestinesi, ma Hamas. Presumibilmente, tra due settimane avrà subìto una batosta militare irrimediabile e rischierà di essere annientata. Dunque ai miliziani si potrebbe uscire di uscire dalla Striscia disarmati, per andare in qualche Paese amico come Iran o Siria, in base a un accordo internazionale.
E Gaza che fine farebbe?
Sarebbe riconsegnata all’Autorità nazionale palestinese, che però è debolissima, affiancata da una forza militare multinazionale di stabilizzazione, che dia una mano alla ricostruzione postbelliche e garantisca a Israele che non partiranno attacchi. In un contesto di pace, la Striscia avrebbe grandissime occasioni di rifiorire economicamente, legate allo sfruttamento dei giacimenti di gas in mare: diventerebbe un’altra Dubai.
Ma un’ipotesi del genere è realistica?
C’è un precedente storico. Nel 1982 i palestinesi dell’Olp dal Libano bombardavano Israele, che in giugno lanciò l’operazione Pace in Galilea. Gli israeliani arrivarono alle porte di Beirut e l’avrebbero rasa al suolo per far fuori Arafat. Ma grazie alla mediazione americana intervennero forze italiane, francesi e statunitensi che scortarono i miliziani palestinesi disarmati fuori dal Libano, salvando la città dalla distruzione bellica.
Dunque questo modello si potrebbe ripetere.
Io l’ho auspicato in un editoriale già il mese scorso. E ho visto che anche la signora Von der Leyen ne ha parlato. Credo che tutti converranno che questa rimane l’unica soluzione ragionevole per tutti. Hamas ha già ottenuto una vittoria politica, perché il loro obiettivo era quello di far saltare i rapporti tra gli israeliani e il mondo arabo. Ma anche Israele potrebbe dire di aver vinto, perché avrebbe messo in sicurezza la Striscia di Gaza. Così si potrebbe far finire al più presto la guerra.
Una soluzione rapida è anche negli interessi occidentali.
Sì, perché le conseguenze sono pesanti anche per noi. Un’eventuale ulteriore polarizzazione tra il mondo arabo e l’Occidente, che sta con Israele, ci farebbe rischiare una nuova crisi energetica. Per rinunciare al gas russo lo abbiamo preso da Algeria, Tunisia, Libia e Qatar, che sono tutti schierati con Hamas.
E potrebbero chiudere i rubinetti.
Qualcuno già ne parla.
Insomma, sembra che i leader occidentali siano più attenti a schierarsi dalla parte di Israele che a difendere i loro stessi interessi nazionali.
L’atteggiamento dei social si sta riverberando anche sulla politica: assistiamo alla stessa polarizzazione che già si era vista con il Covid. Mi pare che ci preoccupiamo di fare il tifo per una parte, invece che di far finire la guerra. Tanto che, se qualcuno espone la bandiera palestinese, interviene la polizia, mentre bisognerebbe continuare a salvaguardare la libertà di manifestazione.
Dovremmo assumere una posizione da mediatori, semmai.
Quella che hanno assunto Cina e Russia, molto criticate perché hanno condannato solo gli attacchi del 7 ottobre, ma non hanno definito Hamas terrorista. Se vuoi mediare in una crisi, devi condannare ogni atto che provoca morti civili, ma non schierarti da una parte. Così si aumentano anche il proprio peso e la propria influenza in quelle aree.
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Orlando
13 Novembre 2023 at 8:20
siete schierati contro i palestinesi cioè i cristiani e queste premesse all’intervista e le risposte lo provano. e l’unica Vs preoccupazione è la carriera dell’assassino capo el governo d’Israele che si dice popolo ebreo con la stella di Davide facendo quello che han fatto i nazisti con loro: legge ebrea del taglione.
Ardmando
14 Novembre 2023 at 8:05
Il dopo non ha importanza. La cosa importante è radere completamente al suolo tutta Gaza. Non devono restare in piedi nemmeno i lampioni delle strade, nulla che sia più alto di 10 cm. E quando si arriverà a questo, passare sopra le macerie con schiacciasassi e bulldozer e ridurre tutto ad una polvere. Poi si penserà se costruire un centro commerciale o un parcheggio o farla diventare un parco naturale.