Opinioni
Gilberto Trombetta: «Torna l’austerità, ci aspetta una manovra di tagli»
Al DiariodelWeb.it le previsioni e le analisi sulla prossima legge di bilancio del governo Meloni del giornalista economico Gilberto Trombetta
Con l’arrivo dell’autunno si riapre il fronte della legge di bilancio: già oggi, a palazzo Chigi, è in programma il primo incontro tra le forze della maggioranza. Trovare l’accordo non si prospetta facile, stando a quanto ha anticipato già la scorsa settimana dal Meeting di Rimini il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Siamo chiamati a decidere delle priorità. Non si potrà fare tutto». Che manovra ci dobbiamo aspettare, il DiariodelWeb.it lo ha chiesto a Gilberto Trombetta, giornalista economico.
Gilberto Trombetta, intanto, quali saranno le prossime scadenze chiave?
Entro il 27 settembre il governo deve presentare la nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza: quella che aggiornerà le previsioni già pubblicate in base ai dati attuali. Poi, il 15 ottobre, arriverà il famoso Documento programmatico di bilancio, di fatto l’anteprima della manovra, che per regolamento siamo obbligati a mandare alla Commissione europea perché ci corregga i compiti.
Perché è così importante?
Perché le correzioni di Bruxelles avvengono sempre in senso regressivo, cioè tagliando le spese che ritengono eccessive. E perché non sono soggette a trattativa: quella diventa la legge di bilancio che poi viene presentata entro il 31 dicembre.
Per ora questi dati ancora non ci sono, dunque possiamo solo discutere delle voci?
Sì, però il governo Meloni ha già prodotto il Def per il prossimo triennio, un punto certo da cui partire. Lì hanno scritto che il rapporto deficit-Pil, nel 2024 e 2025, calerà ancora: passando dal 4,5% di quest’anno al 3,7% e poi al 3%. Non solo, ma c’è scritto anche che torneranno gli avanzi primari.
Cioè?
Cioè il taglio della spesa pubblica al netto degli interessi sul debito. Negli ultimi 31 anni, da quando l’Italia è nell’Unione europea, li abbiamo fatti per 27 anni: un taglio per quasi mille miliardi di euro. La striscia si è interrotta solo con il Covid e la sospensione del Patto di stabilità. Nel 2024 ci sarà 0,3% del Pil, nel 2025 l’1,2% e nel 2026 il 2% di avanzo primario: in soldoni, 77,3 miliardi di tagli in tre anni. Sono due finanziarie.
In altre parole, torna l’austerità.
Sì. A meno che, in sede europea, i Paesi si mettano d’accordo per una proroga della sospensione del patto di stabilità. Ma tutte le dichiarazioni degli ultimi mesi vanno in senso contrario. Anzi, tutte le proposte di modifica che sono uscite sono peggiorative. Anche il governo italiano, quando parla di questa trattativa, si dice molto pessimista: cioè, non ci faranno aumentare il deficit.
Un centrodestra che aveva fatto la voce grossa contro la Ue, alla prova dei fatti, che rapporto sta tenendo con Bruxelles?
Non voglio essere troppo critico, ma la mia impressione è che l’euroscetticismo della maggioranza fosse di facciata, come già avevamo visto con il M5s. Lo si ritrovava nelle dichiarazioni, ma non nei programmi che effettivamente abbiamo votato. Se vuoi andare allo scontro con l’Europa, devi avere la pistola poggiata sul tavolo.
In che senso?
Servono delle armi di ricatto. Se non sei d’accordo con un’imposizione, devi rispondere con una minaccia effettiva, credibile. Invece un piano B non c’è, e ci si presenta solamente come uno straccione che va a chiedere l’elemosina con il cappello in mano. Quindi soggetto a tutte le reazioni non conformi dei Paesi alleati.
Giorgetti ha dichiarato espressamente che dovranno «intervenire a favore dei redditi medio-bassi». Ma, se i soldi non ci sono, come si fa?
Come quando la coperta è corta: per coprirti i piedi ti scopri il torace. A parità di spesa puoi anche allocarla a una voce, ma solo togliendola a un’altra. Una redistribuzione più equa potrebbe essere vantaggiosa, ma questo significherebbe togliere risorse alle fasce di reddito più alte per darle a quelle più basse. Mi dispiace, ma nei provvedimenti del governo, non c’è niente di tutto questo. Anzi, a trarre vantaggio dalla detassazione delle rendite da capitale e dalla flat tax, come ci insegna la macroeconomia, saranno soprattutto i più ricchi.
E per quanto riguarda il taglio del cuneo fiscale?
Quello è un provvedimento che potrebbe avere senso, ma rappresenta una minima parte della spesa pubblica. È un palliativo: il problema degli stipendi bassi va risolto alla radice, cioè dalla disoccupazione strutturale del 7% che impone l’Unione europea. Inoltre si sono triplicati i precari e c’è un’immigrazione fuori controllo: tutto questo spinge al ribasso i salari.
La prevista tassa sugli extraprofitti delle banche avrà qualche effetto?
A senso comune sembrerebbe cosa buona e giusta. Ma bisogna ricordare che il 90% della moneta che usiamo noi cittadini è elettronica, non contante: i depositi in banca o i pagamenti con le carte. Questa non è emessa dalla Bce, ma dal circuito bancario: ogni volta in cui concedono un prestito, gli istituti creano denaro dal nulla.
Quindi i famosi extraprofitti da cosa derivano?
La Bce ha aumentato i tassi d’interesse, ma quelli che le banche concedono ai propri correntisti non sono cresciuti della stessa cifra. L’extraprofitto deriva dal fatto che i prestiti costano molto di più, sia alle famiglie che alle imprese, ma il rendimento dei loro depositi è molto più basso.
Da cosa nasce questa situazione?
Prima di svendere l’Iri, con la legge bancaria del 1936, il sistema bancario era pubblico, quindi lo Stato decideva i tassi d’interesse e a chi indirizzare i prestiti. Ora il nostro sistema è quasi completamente privato ed è allucinante che possano fare profitti perché è stato loro concesso il diritto di conio della moneta elettronica. Oltretutto lo Stato è sotto ricatto da parte loro.
Come mai?
Perché una parte degli extraprofitti è stata fatta con i titoli di Stato pubblici che le banche detengono, i cui tassi d’interesse sono cresciuti. Tra le righe, ma neanche troppo, gli istituti di credito dicono: se mi tassi gli extraprofitti non ti compro più titoli. Infatti si dice che il governo sia intenzionato a scendere clamorosamente rispetto alla quota prevista di tassazione.
Quindi la soluzione quale sarebbe?
Non la tassazione degli extraprofitti, ma la regolamentazione del sistema. La divisione delle banche d’affari, che fanno investimenti finanziari, da quelle commerciali, che prendono depositi e fanno prestiti, e la nazionalizzazione almeno di queste ultime. Il resto è solo una presa in giro inefficace.
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