Opinioni
Luca Belardi: «Ungheria, cosa c’è davvero dietro il caso Ilaria Salis»
Il documentarista Luca Belardi, che da anni vive a Budapest, dà la sua interpretazione al DiariodelWeb.it del processo all’insegnante italiana a Budapest
L’Italia e il mondo sono rimasti giustamente indignati di fronte alle immagini di Ilaria Salis, l’insegnante 39enne nostra connazionale che da quasi un anno è detenuta a Budapest con l’accusa di aver aggredito due estremisti di destra, condotta davanti ai giudici in catene, con le manette a polsi e caviglie. Una vicenda che ha riacceso i riflettori dell’opinione pubblica internazionale sul governo di Viktor Orban, spesso oggetto di critiche per le sue politiche autoritarie e per le posizioni fuori dal coro del resto dell’Unione europea, come il recente veto al pacchetto da 50 miliardi di aiuti all’Ucraina. Ma qual è la verità sul primo ministro magiaro, dittatore o leader amato dal suo popolo, o quantomeno, come la vedono i cittadini dell’Ucraina? Il DiariodelWeb.it ha interpellato Luca Belardi, documentarista che ormai da anni vive proprio a Budapest.
Luca Belardi, che idea si è fatto del caso Ilaria Salis?
Premesso che il rispetto dei diritti dei detenuti viene sempre prima di tutto, onestamente non so se quella di portare gli imputati in catene nei tribunali sia una prassi abituale in Ungheria, che piaccia o non piaccia.
Perché se lo chiede?
Perché non vedo il motivo per cui avrebbero dovuto fare un’eccezione, di fatto mettendo in piedi uno show, di modo che tutto il resto del mondo li accusasse di essere crudeli. Loro sanno perfettamente di avere gli occhi del mondo puntati contro, soprattutto da parte degli Stati Uniti e della Ue. Non so perché vorrebbero cercare di esacerbare i rapporti che sono già tesi.
In effetti il risultato ottenuto è stato proprio questo.
L’Ungheria adesso emerge alle cronache per questa sua disobbedienza rispetto alle posizioni delle democrazie occidentali. In realtà è un Paese che andrebbe capito, studiato più a fondo.
Come mai dice questo?
Perché, pur essendo relativamente piccolo, è un coacervo di interessi mondiali. È letteralmente al centro dell’Europa, confina con altre sette nazioni, da qui passa praticamente tutto il gas e il petrolio proveniente dalle fonti più diverse, e ci sono innumerevoli compagnie che possiedono e gestiscono oleodotti e gasdotti. Lei sa come si chiama la famiglia più ricca d’Ungheria?
Confesso di no.
Si chiama Rahimkulov, che non è proprio un cognome magiaro. Megdet Rahimkulov è un imprenditore 78enne nato a Mosca: già questo fa capire i rapporti tra Budapest e l’Est Europa. In precedenza gestiva una banca che gestiva le relazioni commerciali di vendita di petrolio tra Russia e Ungheria, poi ha acquistato il pacchetto di maggioranza della Otp, il principale istituto di credito del Paese, nonché quello che finanzia Fidesz, il partito di Orban.
Provo a malignare: non è che queste levate di scudi contro Orban sono motivate dalla volontà di togliere un Paese così geograficamente ed economicamente centrale dalle mani di un leader indipendente dagli interessi di Usa e Ue e persino legato alla Russia?
Chiaramente questo è un territorio conteso, in cui si combattono i vari gruppi di potere. Addirittura dopo il 2014 mi aspettavo che la successiva rivoluzione sullo schema di Maidan, dopo l’Ucraina, avvenisse in Ungheria.
Cioè che avrebbero fatto saltare Orban?
Esatto. Invece continuano a mettersi contro, si lamentano ma in definitiva, stranamente, non succede niente. Continuano questo balletto di veti e compromessi, facendo un passo avanti e uno indietro.
E che risposta si è dato riguardo ai motivi per cui alla fine Orban è sempre lì?
C’è un equilibrio di interessi in gioco, per cui non si può calcare troppo la mano. Far saltare il banco significherebbe far saltare anche i propri, di interessi. Pensiamo solo al fatto che il secondo azionista di Otp, dopo Rahimkulov, è la finanziaria Groupama, francese. O che sul territorio ungherese lavorano tremila società tedesche, che danno lavoro a 250 mila persone, su una popolazione totale di poco più di nove milioni.
Dunque Orban mantiene una posizione eretica, anche in politica estera, perché sa di poterselo permettere?
Per forza, non può essere altrimenti. Capisco il coraggio e l’orgoglio ungherese, ma se tiene testa all’Unione europea e agli Stati Uniti senza saltare in aria ci dev’essere una ragione. Che secondo me è una ragione di tipo geopolitico.
Ci spieghi meglio.
Secondo me lo scontro che attualmente sta avvenendo non è più quello tra comunismo e capitalismo, ma all’interno del capitalismo stesso: tra il vecchio liberismo industriale e il neoliberismo finanziario, improduttivo, che genera soldi dal nulla, li presta a debito non per ricevere in cambio gli interessi, ma per acquisire le società stesse.
Orban è un esponente della prima di queste due fazioni?
Esattamente. Infatti viene da una famiglia di magnati del cemento e dell’edilizia. È espressione dei capitali industriali, soprattutto quelli tedeschi, che sono imponenti eppure si stanno vedendo sfilare pian piano tutte le loro proprietà dalla grande finanza internazionale. Alcuni, chiaramente, sono conniventi e sono entrati in quel circolo: ci sono sovrapposizioni di interessi che rendono la situazione molto più confusa. Ad esempio, Orban è favorevole alla digitalizzazione e al green, posizioni coerenti con il programma di deindustrializzazione del sistema finanziario.
Dunque è eretico, ma fino a un certo punto.
Proprio così.
Rispetto al governo italiano, Giorgia Meloni è stata a lungo definita come amica di Orban, salvo ora mettersi in contrapposizione proprio per via del caso Salis. Quali sono i veri rapporti tra i due?
Penso che entrambi sappiano perfettamente come la pensano, ma giocano la parte che devono giocare. Se Orban governasse in Italia, non sarebbe Orban. Il nostro Paese è un tale intrigo di interessi che impedisce alla Meloni di muoversi: dunque deve parlare e comportarsi in un certo modo. Vuoi che Orban non lo sappia? Questi botta e risposta sono semplice avanspettacolo.
Un gioco delle parti.
Infatti. Ma bisogna anche rimarcare che la Salis fa parte del movimento Antifà, finanziato da Soros insieme a Black Lives Matter, con qualcosa come 38 miliardi di dollari in 120 Paesi. Lo leggo come un messaggio lanciato da Soros a Orban e al gruppo di potere che gli sta dietro, cioè Rahimkulov. Del tipo: caro mio, se non fai passare i 50 miliardi di aiuti all’Ucraina, questo è un assaggio, sappi che il prossimo sei tu.
Un avvertimento.
Che è stato recepito ma ha anche ricevuto una risposta: non provateci di nuovo. Per questo penso che l’Ungheria abbia riservato un trattamento speciale all’agente di Soro.
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requis3800
19 Febbraio 2024 at 8:53
Una nuova chiave di lettura. Interessante
Frank Brown
19 Febbraio 2024 at 9:13
Io ho notato che i gruppo di aggressori – tra cui la Salis – ostentava il simbolo del “pugno chiuso stilizzato” riconducibile ad Otpor, lo pseudo partito politico creato da CIA/Nato per avviare una rivoluzione colorata nella Serbia di Milosevic utilizzando la ben nota metodologia di Gene Sharp.
A partire da quella esperienza di successo, il pugno chiuso stilizzato è diventato una specie di segno convenzionale – potremmo dire un “marchio di fabbrica” – che contraddistingue organizzazioni afferibili all’ambiente CIA/Nato preposte alla creazione di proteste e disordini. Lo abbiamo visto usato – tra l’altro – in Georgia (rivoluzione delle rose, 2003), in Venezuela (dal 2014, Juan Guaidò aveva mosso i primi passi proprio come volontario in Otpor), in Ucraina (2004 e 2014) eccetera.
Del resto fu proprio Ivan Marovic di Otpor a spiegare: «La nostra idea è quella di utilizzare le strategie del marketing commerciale (corporate branding) in politica. Il movimento deve avere un dipartimento marketing. Noi abbiamo adottato la Coca-Cola come nostro modello».( https://www.theguardian.com/world/2005/jun/06/iantraynor )
L’organizzazione cosiddetta “antifa” è un ramo di tale struttura e viene attivata per scopi intimidatori.
Credo che il soggetto in questione – ritratta in catene ma rilassata e sorridente – sia null’altro che una degli agenti operativi di questa struttura.
DANILO FABBRONI
19 Febbraio 2024 at 11:06
MOLTO ACUTA QUESTA ANALISI. DIMOSTRA ANCORA UNA VOLTA CHE L’ESTESISSIMA GLOSSA DATA DA GUENON SUGLI STATI UMANI PUO’ ESSERE ANCOR OGGI LA PROVA PROVATA DI QUANTO ACCADDE AI GIORNI NOSTRI. GIANO BIFRONTE E’ I LDIO A CUI TUTTI I POTENTI SI RIVOLGONO.
Ardmando
25 Febbraio 2024 at 9:29
Questa tizia è una estremista comunista. già il fatto che abbia fatto la maestra è una cosa ignobile, perchè con quelle idee con i precedenti di aggressione, doveva essere bandita dalla scuola da parecchio tempo. Resta la domanda che molti si fanno: cosa ci faceva una estremista di sinistra notoriamente violenta, in un paese straniero ad una manifestazione che non la riguardava? Domanda che viene elusa dalla stampa. Ma il quesito resta. E poichè si è macchiata di crimini in un Paese straniero, deve scontare la pena (mi auguro molto severa) in quel Paese, che tra l’altro è libero di trattare i suoi detenuti come meglio crede, in accordo alle disposizioni internazionali in materia. L’uso delle catene è pratica comune a moltissimi Paesi del Mondo e considerando lo sprezzante sorrisetto e l’aria boriosa che costei ha sempre mostrato nei video, dubito che la cosa l crei danno o fastidio.