Opinioni
Piero Ignazi: «Così il ‘polo escluso’ della destra è arrivato a capo del governo»
Il politologo Piero Ignazi racconta al DiariodelWeb.it la parabola politica che ha portato l’Msi di Almirante a diventare il primo partito, con i Fdi di Giorgia Meloni
Nei bilanci che si tracciano in questi giorni sulla trentennale esperienza politica di Silvio Berlusconi, dai toni più svariati, c’è un lascito che sicuramente tutti gli riconoscono, tanto i sostenitori quanto i detrattori: è stato lui a creare il moderno centrodestra. Cioè a riportare nell’alveo di quello che un tempo si chiamava «arco costituzionale» il partito dell’estrema destra, il vecchio Movimento sociale italiano diventato poi Alleanza nazionale e oggi Fratelli d’Italia. Un’eredità talmente forte che oggi quella coalizione è maggioritaria in parlamento e quel partito è addirittura risultato vincitore delle ultime elezioni. E dire che quello stesso Msi era stato definito dal politologo Piero Ignazi nel 1989, con una felice espressione che dava il titolo a un suo celeberrimo libro, il «polo escluso». Oggi quel testo, con una nuova postfazione, è stato ripubblicato dalla casa editrice Il Mulino. Il DiariodelWeb.it ha intervistato il professore, doente all’Università di Bologna e Chercheur associé presso il Cevipof di Parigi.
Professor Piero Ignazi, quello che lei battezzò «polo escluso» oggi non solo è incluso nelle istituzioni, ma addirittura a capo del governo. Cosa è cambiato in questi trent’anni?
Ci sono stati due passaggi. Il primo è quello del 1994: la crisi dei partiti tradizionali e la ridefinizione di un nuovo sistema partitico. Un nuovo panorama politico, non più incentrato su una grande forza di centro dominante, bensì su una competizione destra-sinistra. Questa configurazione bipolare, per iniziativa di Berlusconi, ha compattato tutto il fronte di destra.
Fu la nascita del Polo, ovvero del centrodestra come lo conosciamo ancora oggi.
L’operazione fu molto bizzarra: un’alleanza bicefala, a nord solo con la Lega e a sud solo con An. Però funzionò. Il Movimento sociale aveva già ottenuto un grande successo elettorale alle elezioni amministrative del dicembre 1993 a Roma e a Napoli, due città sempre favorevoli alla destra, dove aveva candidato Fini e Mussolini. Cioè le due figure più rilevanti, una per il suo cognome e l’altra perché segretario del partito. Questo risultato aveva già lanciato l’Msi come possibile ricettacolo dei voti moderati in uscita dalla Dc.
E il secondo passaggio?
È avvenuto molto più recentemente. Tra la fine dello scorso decennio e l’inizio di quello attuale, quando la destra arrembante salviniana, agendo soprattutto sul tema dell’immigrazione, è riuscita a ottenere un grande consenso popolare. Solo che gli errori drammatici compiuti da Salvini hanno aperto la strada a Meloni come rappresentante di quell’area. La crescita di Fratelli d’Italia, tra l’altro unico partito all’opposizione del governo Draghi, non è stata tanto merito di Meloni quanto demerito di Salvini.
Secondo lei Giorgia Meloni, quindi, non ha dimostrato alcuna peculiarità politica che ne possa giustificare l’ascesa?
Io non individuo nulla di particolarmente attrattivo che possa caratterizzare Fratelli d’Italia rispetto alla Lega. In termini politici, non ideologici, lo ritengo la semplice continuazione, in maniera più abile. Sappiamo che la politica, oggi, è soprattutto comunicazione e immagine; gli elementi razionali sono sempre stati minoritari e oggi lo sono ancora di più. Tra l’immagine aggressiva e barbuta di Salvini e gli occhi azzurri e i capelli biondi della piccola Meloni non c’è confronto, nella capacità di attrarre elettorato non politicizzato.
Insomma, è una leader più rassicurante.
Per questo, se non i bossiani delle valli bergamasche, almeno gli elettori vagamente di destra sono potuti transitare tra i due partiti. Del resto le analisi elettorali indicano chiaramente che il bacino è sempre lo stesso. I tre partiti di destra, alle ultime consultazioni, non hanno guadagnato un voto rispetto alla loro tradizione.
Se li sono solo scambiati.
Sono sempre rimasti intorno a quel 40-45% che hanno sempre avuto dal 1994 a oggi, a parte il momento grillino che ha rubato voti un po’ a tutti. C’è stato un travaso di consensi all’interno dello stesso bacino. Per questo non trovo nulla di particolare che giustifichi la vittoria di Fdi.
Ma dopo tutte queste trasformazioni subite dall’Msi, diventato An prima e Fdi poi, ha ancora senso individuare un filo conduttore in tutta questa storia?
Meloni ha saltato a piedi pari tutta la fase di An e si è riconnessa con il Msi, che non ha mai celato la sua affiliazione ideologica. Del resto la premier ha chiamato Fini traditore e Almirante suo padre spirituale. Direi che basta questo a definire gli orientamenti ideologici del partito e quindi la continuità.
Anche lo stesso personale politico del partito mostra una certa continuità.
Certo. Ventidue dei ventiquattro membri dell’esecutivo nazionale vengono dalla tradizione missina e di An. Solo Fitto e Crosetto sono esterni.
Ha menzionato Silvio Berlusconi. Il centrodestra oggi al governo è a tutti gli effetti una sua eredità politica?
Sì, perché è stato lui a legittimare l’estrema destra. Per il resto, credo che anche i suoi più accesi apologeti facciano fatica a trovare qualche riforma o progetto che abbia il marchio dei suoi lunghi anni di governo. E questo dimostra, sostanzialmente, il fallimento della sua leadership. Un fallimento di politiche e anche partitico, perché lascia una Forza Italia che è un ectoplasma.
Ha talmente accentrato tutto intorno alla sua figura che, venuto meno lui, non è rimasto niente.
Una figura che ha già commesso molti errori e che lascia il vuoto, politico e organizzativo.
Negli ultimi anni abbiamo assistito a un rapidissimo ricambio delle leadership. Giorgia Meloni farà la stessa fine o ha le carte in regola per durare più a lungo?
Secondo me ha la possibilità di durare, perché al momento non ha competitori al suo livello. All’interno non c’è nessuno, all’esterno non vedo sfide che possano insidiarla.
Nemmeno la Schlein?
È un po’ presto. Da due mesi è diventata segretaria di un partito che era ridotto ai minimi termini e non ha la bacchetta magica. L’unica posizione seria è quella dell’attesa. Aspettiamo di vedere come procede, non possiamo fare altro.
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