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Roberto Pecchioli: «Perché c’è George Soros anche dietro alla guerra in Ucraina»

Lo studioso e autore Roberto Pecchioli racconta al DiariodelWeb.it il ruolo di George Soros negli avvenimenti più importanti degli ultimi anni, dalla pandemia al conflitto

Fabrizio Corgnati

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George Soros (© Fotogramma)

Quello di George Soros è un nome che, tra verità, complottismo e leggenda, aleggia da decenni su tutte le questioni più importanti e anche controverse della geopolitica e della finanza mondiali. Dall’attacco alla lira del 1992, tanto per parlare di una questione che ci riguarda molto da vicino, alle rivoluzioni colorate di una decina di anni fa. Fino ai fatti più recenti, la pandemia da Covid-19 e la guerra in Ucraina. Come ha fatto il finanziere ungherese naturalizzato americano a conquistare questo potere e in che modo ha contribuito a scrivere la nostra storia lo spiega al DiariodelWeb.it lo studioso di politica, economia e storia Roberto Pecchioli, autore per Arianna Editrice del libro «George Soros e la Open Society».

Roberto Pecchioli, chi è veramente George Soros?
Un miliardario, che ha costruito la sua ricchezza attraverso la finanza. Quindi la manipolazione del denaro, per così dire. Non ha mai prodotto neanche uno spillo, a parte aver acquistato negli ultimi tre anni, in società con Bill Gates, una start up che produce tamponi contro il Covid. Non credo che questo modifichi sostanzialmente la loro ricchezza, ma se hanno pensato di intervenire anche in quel mercato avranno avuto i loro motivi.

Come è arrivato a essere uno degli uomini più potenti del mondo?
La narrazione sostiene che si sarebbe fatto da solo: questo è vero solo in parte. Nato nel 1930 come György Schwartz da una famiglia della buona borghesia ebraica di Budapest, arrivò in Inghilterra dopo gli studi liceali. Riuscì a entrare nella London School of Economics e non ci sarebbe potuto riuscire se non grazie alle credenziali che molto probabilmente gli derivavano dalle amicizie del padre in ambienti ebraici.

Perché questi studi inglesi furono così importanti per la sua formazione?
Perché qui si innamorò letteralmente del pensiero di Karl Popper e del concetto di «società aperta»: cioè di un liberalismo che diventa liberismo in economia e libertarismo nelle questioni sociali. Al termine degli studi riuscì a entrare nell’orbita dei Rothschild, nella cui orbita rimase, questa è la mia opinione, per decenni. Tanto da lasciare la Gran Bretagna per approdare negli Stati Uniti.

Qui decollò la sua carriera nella finanza.
Fu uno dei primi a comprendere l’importanza dei fondi d’investimento, di cui diventò un dirigente. Così diventò un uomo così facoltoso da iniziare a realizzare il suo sogno: quello di una società aperta, appunto.

Infatti sceglierà proprio questo nome per la sua fondazione, la Open Society Foundation.
Quello che differenzia Soros da altri uomini di potere è che lui crede nelle cause, non agisce solo per proprio tornaconto. Cominciò finanziando negli anni ’80 gli studi di universitari neri e le attività anticomuniste in Europa dell’Est. Tentò anche di sbarcare in Cina ma ne venne pesantemente cacciato. Ma le operazioni che ne fecero un grande protagonista, non solo finanziario ma anche politico, iniziarono nel 1992.

Anno della sua famigerata speculazione sulla lira.
Sembra che in quest’operazione guadagnò un miliardo al giorno. Quell’attacco alla lira e alla sterlina avvenne in coincidenza con la crisi del serpente monetario, il meccanismo propedeutico all’Euro. Tanto che la sterlina ne uscì. Quegli eventi determinarono la terribile crisi finanziaria, la famosa manovra «lacrime e sangue» di Amato, con il sei per mille preso dai conti correnti, e una perdita che l’allora ministro del Bilancio Barucci stimò in 50-60 mila miliardi.

Una botta clamorosa per i nostri conti.
La svalutazione della lira consentì anche a qualcuno di comperare a prezzi di saldo i gioielli di famiglia del patrimonio pubblico italiano, a partire dalle grandi banche. Un’operazione costruita nel famoso incontro sul panfilo Britannia, a cui partecipò sicuramente anche un giovane Mario Draghi, allora direttore generale del Tesoro.

In cosa consiste, in pratica, quest’idea della società aperta?
Nella privatizzazione del mondo, nel costante indebolimento degli Stati nazionali, nella cosiddetta cultura della cancellazione. Soros è uno dei più grandi sostenitori della depenalizzazione delle droghe leggere, delle campagne abortiste, delle campagne elettorali del Partito democratico americano.

Arriviamo ai nostri giorni. Si parla spesso del ruolo giocato da Soros nei più grandi avvenimenti globali. C’entra anche nella guerra in Ucraina?
Intanto è uno dei maggiori sostenitori dell’Ucraina e ha scritto di suo pugno, a marzo 2022 per la sua agenzia di stampa, un articolo incendiario per sostenere le ragioni della guerra a fianco di Kiev. Ma questo è solo l’ultimo atto. Il suo ruolo nelle rivoluzioni colorate in tutto il mondo, in particolare quella di Maidan del 2014, è stato fortissimo: non ha solo finanziato, ma contribuito a promuovere il colpo di Stato. Ricordo un fatto che colpì notevolmente perfino i giornali di sistema italiani come il Sole 24 Ore e la Stampa.

Quale?
Che il mondo finanziario, e Soros in particolare, aveva preso il controllo dell’Ucraina perfino nella scelta della nuova classe dirigente. Insieme ad altre organizzazioni organizzarono un vero e proprio casting, convocando circa 200 giovani ucraini, o più spesso di origine ucraina, con cittadinanza canadese, britannica o americana, e attraverso la consulenza di società specializzate ne scelsero i nuovi leader.

Ultimamente i repubblicani statunitensi lo hanno accusato di ingerenza nell’incriminazione di Donald Trump. Anche in questa vicenda ci ha messo lo zampino?
Non c’è dubbio che sia uno dei più grandi finanziatori delle campagne elettorali dei procuratori distrettuali, soprattutto di città più importanti dal punto di vista finanziario, politico e strategico. Se poi sia intervenuto personalmente sui singoli procuratori, questo non lo posso affermare. Di sicuro so che, in Europa, la Open Society riuscì a piazzare numerosi propri esponenti o amici nella Corte europea dei diritti dell’uomo. Poi c’è un altro fatto piuttosto particolare.

Ci dica.
L’ex presidente dell’Open Society, il lord inglese Malloch-Brown, già vicepresidente dell’Onu e ministro di un governo laburista, è comproprietario di una delle società di software che ha gestito il voto elettronico nelle elezioni americane del 2020. Da qui a dire che abbia prodotto la vittoria di Biden ce ne corre, ma ci sono degli indizi che portano comunque a immaginare un suo intervento nei processi elettorali.

Anche in Italia?
Indirettamente sì, certo. Per quanto l’Open Society destini al nostro Paese non più del 3% del suo budget annuale, il vecchio Partito radicale, oggi +Europa, ha ammesso di essere stato finanziato da Soros. Così come il gruppo giornalistico dell’Associazione Carta di Roma è stato finanziato per vari progetti, uno dei quali portò a definire il glossario dei giusti termini da utilizzare nei temi dell’immigrazione e non solo, in collaborazione con l’Ordine dei giornalisti.

Quindi Soros esercita un’influenza indiretta anche sulla stampa italiana.
Ad esempio, uno dei suoi dirigenti del ramo europeo è il vicedirettore del Corriere della Sera, Fubini. Questo è un fatto. C’è poi l’influenza sul parlamento e sulla Commissione europei. Il vicepresidente Timmermans è notoriamente amico di Soros, se n’è anche vantato. Ma in un report, apparso direttamente sul sito dell’Open Society in occasione delle elezioni europee del 2019, si affermava che non meno di 200 parlamentari europei erano amici, tra i quali una ventina erano deputati italiani delle più varie collocazioni politiche.

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1 Commento

1 Commento

  1. Avatar

    Piero

    24 Aprile 2023 at 16:35

    purtroppo queste affermazioni rimangono qui e nessuna testata giornalistica li comunica alla gente, all’opinione pubblica. queste notizie sanno bene gli interessati come fare per tenerle fuori dai grandi giri dei grandi media ufficiali. è molto difficile penetrare in questa nebbia creata ad hoc. quando si arriva a questi punti di piccoli e grandi collassi regionali e zonali c’è il pericolo della grande guerra atomica, come anche dell’inizio di ribellioni…

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