Opinioni
Salvatore Vassallo: «Le amministrative confermano la leadership della Meloni»
Al DiariodelWeb.it il politologo Salvatore Vassallo, che ha studiato la Meloni e il suo partito nell’ultimo libro «Fratelli di Giorgia», scritto con Rinaldo Vignati
Fratelli d’Italia sarà anche il partito della Fiamma, ma non sembra certo un fuoco di paglia. Almeno a giudicare dall’esito delle ultime elezioni amministrative, che si sono tradotte nell’ennesima affermazione netta della forza politica del presidente Giorgia Meloni, sempre più leader indiscussa della coalizione di centrodestra. Quali siano le traiettorie che ce l’hanno portata e i meriti che l’hanno consolidata in questa posizione lo spiega al DiariodelWeb.it il politologo Salvatore Vassallo, direttore dell’Istituto Cattaneo e docente di Politica comparata all’Università di Bologna, nonché autore, insieme a Rinaldo Vignati, del libro «Fratelli di Giorgia. Il partito della destra nazional-conservatrice», edito dal Mulino.
Professor Salvatore Vassallo, come dobbiamo interpretare l’exploit di Fratelli d’Italia alle ultime elezioni amministrative? Solo l’effetto della luna di miele, oppure il segno che l’era Meloni è destinata a durare?
La mia impressione è che la leadership di Giorgia Meloni abbia più possibilità di durare rispetto alle possibili alternative. Quanto a lungo, francamente, è difficile dirlo. E questa tornata amministrativa non è una prova: sono passati troppo pochi mesi dalle politiche.
Che cosa ci dice, allora, il risultato delle urne?
Che la situazione è rimasta stabile, da una parte e dall’altra. Con il vantaggio confermato del centrodestra di aver ricostruito la propria area elettorale, rimasta più o meno delle stesse dimensioni, e di aver costituito un equilibrio ormai riconosciuto.
A cosa si riferisce?
Mentre fino alle politiche 2022 c’era ancora una latente tensione tra i partner, che non avevano ancora interiorizzato l’affermazione della Meloni, ora la competizione persiste, ma la leadership è acquisita. Finora questo equilibrio ha retto.
Questo dato la stupisce?
In parte no, perché studiandoli ho osservato una solidità nella strategia e nella prospettiva di Giorgia Meloni e del gruppo dirigente che la sostiene, che non trova pari, in questo momento, nel centrodestra. Certo, lei si è anche avvantaggiata della debolezza dei suoi principali competitori.
Che, paradossalmente, come sottolineava, non sono gli esponenti della sinistra, bensì proprio i suoi alleati.
Sappiamo che l’elettorato si sposta pochissimo da una parte all’altra: anzi, dalle europee 2019 è rimasto sostanzialmente stabile. Quindi la competizione principale si è svolta all’interno dei blocchi. I contendenti di Giorgia Meloni sono Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, che per ragioni diverse hanno mostrato fragilità. Così la premier si è affermata come la leader più credibile.
Tutti le riconoscono il merito della coerenza.
Indubbiamente ha una capacità comunicativa che le ha permesso di costruire una narrazione, caratterizzata anche da aspetti che possono apparire problematici, ma comunque coerente. Però è sorretta anche da un’infrastruttura politica relativamente piccola, formata da una rete di poche persone, molto ben integrate e coese.
Che idea si è fatto del gruppo dirigente di Fratelli d’Italia?
Come Giorgia Meloni, hanno una lunga esperienza di militanza, dunque sono meno improvvisati e guidati dall’ideologia rispetto a come vengano normalmente rappresentati. Quindi sono in grado di capire che, essendo cambiato il loro ruolo, devono trovare interlocutori adeguati. Se c’è un elemento nuovo di queste amministrative, è proprio il fatto che hanno cominciato a imparare dall’esperienza.
Ci spieghi meglio.
C’è stata maggiore oculatezza nella scelta delle candidature. Presumo anche perché la vittoria, il consolidamento del nuovo equilibrio, la stabilità del rapporto di fiducia tra Meloni e il suo elettorato hanno fatto sì che più persone fossero disponibili a candidarsi rispetto al 2021.
In che modo il partito sta mutando, ora che è al governo?
Direi soprattutto a livello retorico. Non mi sembra che ci siano state abiure né cambiamenti drastici nella simbologia, e neppure nel personale politico. Anzi, ci si poteva aspettare qualche elemento di discontinuità in più, già nella formazione dei gruppi parlamentari: invece, nonostante l’allargamento della platea, il criterio di selezione è stato sostanzialmente lo stesso.
Quale?
Nella stragrande maggioranza si sono scelte persone che vengono dall’esperienza della destra italiana. Anche in coloro che non sembrano avere un collegamento immediato con questa storia si scopre che comunque da piccoli erano stati nel Fronte della gioventù, o avevano qualche legame di parentela con quella famiglia politica.
Eppure, come sottolineava, i toni sono sicuramente cambiati.
Nella fase in cui Fdi doveva combattere per sopravvivere, e poi per attrarre i voti della Lega, quando a livello internazionale si affermavano leader nazionalisti, anti-europei e anti-globalizzazione, si è fatto ricorso a quell’armamentario retorico. Anche attingendo a teorie del complotto, più o meno esplicite.
Sta parlando di quella «sostituzione etnica» evocata dal ministro Lollobrigida?
In realtà era una narrazione ricorrente nei discorsi di Giorgia Meloni tra il 2014 e il 2022. Come anche l’idea che dietro qualsiasi avversario ci siano i poteri forti internazionali, le accuse ruvide nei confronti della Francia e della Germania, la descrizione dell’Unione europea come una burocrazia sovietica, la simpatia per Putin e le affermazioni molto drastiche nei confronti dei presidenti americani democratici. C’è stato indubbiamente un periodo di radicalismo.
Che però ora sembra finito.
Da questo punto di vista il cambiamento è stato drastico. Le esasperazioni sono state contenute, anche per ragioni ovvie: prima i vertici internazionali erano il concentrato dei nemici, oggi invece Giorgia Meloni si trova a svolgere un ruolo di primo piano. Questo cambiamento, per me, era prevedibile: del resto era già capitato con altri soggetti politici passati dall’opposizione al governo.
Ad esempio il Movimento 5 stelle.
Anzi, già in passato gli analisti non avrebbero dovuto prendere queste affermazioni come un tratto identitario. Ci sono molte rappresentazioni di Fratelli d’Italia come un partito di destra radicale, estremista, se non addirittura fascista. Queste interpretazioni, a mio avviso, non sono fondate. Perché si appuntano su estremismi verbali che era quasi inevitabile venissero stemperati di fronte alla prova della responsabilità di governo.
Si è scambiato per fascismo la semplice propaganda elettorale, insomma.
Tanto più considerando che, nel frattempo, anche l’elettorato del partito è molto cambiato. Prima era prevalentemente al sud, ora al nord: è quasi indistinguibile da quello generico di centrodestra.
Quali sono state le capacità di Giorgia Meloni che le hanno permesso di prevalere su Salvini e Berlusconi?
Innanzitutto una biografia raccontabile, coerente con il messaggio.
Anche a dispetto delle ultime inchieste giornalistiche sulla sua famiglia?
Il suo pubblico finora non le conosceva e, forse, non avranno impatto neanche in seguito. Rimango fermo sull’idea che la sua storia è stata valorizzata in maniera appropriata. Ma non c’è solo questo.
Cos’altro?
La grande scuola della militanza di una forza politica tenuta per molti anni ai margini, sommata con un po’ di esperienza fatta molto precocemente anche al governo. La sua formazione personale è stata in larga parte da autodidatta, e questo non è necessariamente un fattore negativo ai suoi fini. Questo le ha consentito di acquisire competenza nell’uso di molti linguaggi: dal comizio al talk show, dai social alle istituzioni.
Insomma, si è rivelata più versatile rispetto ai suoi alleati.
Salvini non sarebbe mai riuscito a presentarsi come un interlocutore apprezzato in una convention repubblicana negli Usa. L’intuito della Meloni e delle poche persone che l’aiutano le ha permesso di toccare i tasti giusti in ciascuna di queste occasioni, usando tanti registri diversi. Da quello ideologico e programmatico a quello emotivo e intimo, la sua rappresentazione come madre. Che Salvini non aveva: semmai lui si comunica come una persona uguale ai propri elettori, che mangia la pizza e va al Papeete. E poi c’è un altro vantaggio fondamentale, che si vede di meno.
Ce lo dica.
L’infrastruttura organizzativa. Fdi, sostanzialmente, non ha una democrazia interna. Giorgia Meloni ha indicato i referenti territoriali che riteneva più affidabili, regione per regione, per il resto gli iscritti non hanno praticamente mai votato, come prevedrebbe lo statuto. Solo nel congresso di Trieste 2017 si confermarono per acclamazione la presidenza Meloni e gli organi collegiali nazionali.
Questo è un vantaggio, dice lei, ma non rischia di essere anche un limite?
Sicuramente è stato un vantaggio, perché quello che dice Giorgia Meloni è la posizione di Fdi, senza discussione. La struttura è solida e la sua leadership viene percepita come affidabile. Ma è anche un difetto, posto che lo statuto dei partiti è pubblicato sulla Gazzetta ufficiale. E potrebbe provocare problemi a un certo punto, quando l’autorevolezza della Meloni potrebbe non bastare più a dirimere i conflitti d’ambizione.
Va sottolineato che la Meloni non è solo leader del centrodestra e del governo italiani, ma è anche presidente dei Conservatori europei.
Merito dell’incrocio fortuito con Raffaele Fitto. Alle elezioni europee 2014 Fdi non superò lo sbarramento e questa si rivelò una fortuna: con tutta probabilità sarebbe finito dentro il gruppo Identità e democrazia, con il Fronte nazionale francese e la Lega. Nel 2019, per evitare di rimanere ancora fuori, si allearono con Fitto, che a sua volta non aveva un partito in cui candidarsi.
E qual è stato il ruolo di Fitto?
Con la sua abilità negoziale ha portato Fdi nei Conservatori e riformisti. Dai quali, ulteriore fortuna, sono venuti meno i Tories britannici, che sarebbero stati la forza politica dominante. Così i meloniani si sono ritrovati a essere il principale partito dell’area ex occidentale. E la presidente è diventata leader dei gruppo, quindi un interlocutore per i repubblicani americani.
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Davide
9 Giugno 2023 at 9:46
Direi che sia più appropriato chiamarli “Fratelli D’Ucraina” più che “Fratelli D’Italia”….per il resto la borgatara di Davos può tranquillamente andare a quel paese; in beata compania di tutta la dirigenza UE.