Politica
Il Pd si spegne d’estate: riformisti in subbuglio, Schlein sotto assedio
Il rinvio della Direzione a settembre è solo l’ennesimo segnale di un partito in apnea. E nella corrente riformista c’è chi già pensa a un piano B.

Tre mesi di silenzio. Tre mesi dopo il disastro. Il referendum sul Jobs Act affondato nel vuoto dell’astensione non ha solo sancito una delle più cocenti sconfitte della sinistra italiana, ma ha anche mostrato, con dolorosa evidenza, l’afasia strategica del Partito Democratico.
Nessuna Direzione nazionale, nessun confronto pubblico, nessuna assunzione di responsabilità. La segretaria Elly Schlein ha scelto la rimozione. E la Direzione slitta a settembre, quando il partito sarà già in corsa verso le elezioni Regionali. Ma i malumori crescono. E si fanno sentire soprattutto tra i riformisti, sempre più marginalizzati all’interno del Nazareno.
Energia Popolare divisa: Bonaccini in ombra, Gori e Picierno scalpitano
Martedì sera, in una call riservata tra esponenti dell’area riformista di “Energia Popolare”, si è fatto il punto sul futuro. Un futuro che appare sempre più stretto. Stefano Bonaccini, un tempo leader carismatico della corrente, è ormai defilato. E al suo posto emergono due linee distinte.
Da un lato c’è chi, pur criticando le scelte di Elly Schlein, ritiene sia meglio restare nel partito senza rompere. È il caso di Milano, dove i riformisti appoggiano senza riserve Beppe Sala, anche se la base è spaccata con i movimentisti di Pierfrancesco Majorino.
Dall’altro lato, i riformisti più intransigenti – come Pina Picierno e Giorgio Gori – chiedono di alzare la voce, denunciano il silenzio di “Energia Popolare” negli ultimi due anni e criticano l’eccessivo allineamento del partito al M5s di Giuseppe Conte, con divergenze nette anche su temi internazionali come l’Ucraina e il riarmo.
La Festa dell’Unità? Solo a casa di Elly
Anche le scelte simboliche fanno rumore. La decisione di tenere la Festa dell’Unità a Reggio Emilia è apparsa ai più come un rifugiarsi nella comfort zone emiliana, evitando territori come la Toscana, dove la ricandidatura di Eugenio Giani è vista da Schlein come un boccone amaro.
Intanto, sul fronte delle Regionali, il caso che preoccupa di più è quello di Matteo Ricci nelle Marche, finito al centro di un’inchiesta giudiziaria. Se Giuseppe Conte decidesse di ritirargli l’appoggio, la candidatura rischierebbe di implodere, e il piano “4-1” di Schlein (vittoria in quattro regioni su cinque) potrebbe trasformarsi in un boomerang politico.
Un partito in stallo, una leadership in bilico
Nel Pd nessuno parla ancora di scissione, ma il clima è pesante. La guida “leninista” di Schlein, come la definiscono alcuni, esaspera le anime plurali del partito. E l’assenza di una reazione politica dopo il referendum è vista da molti come un segnale senza precedenti nella storia del centrosinistra.
Il problema non è solo di contenuti, ma di metodo, di stile, di strategia. E l’autunno potrebbe diventare la stagione della resa dei conti.
Settembre sarà uno spartiacque
Con la Direzione rimandata e il dibattito interno congelato, il Pd appare oggi più debole che mai, stretto tra l’irrilevanza riformista e il dominio movimentista. Ma le Regionali d’autunno potrebbero riaprire tutto. O chiudere definitivamente la partita per molte delle anime critiche del partito.
Il campo largo, se non si allarga davvero, rischia di diventare solo un campo minato. E per Elly Schlein, i lividi potrebbero non finire a settembre. Ma cominciare.
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