Economia & Lavoro
Il lavoro, la culla vuota e il miraggio svedese
L’Italia non è la Svezia: per affrontare il declino demografico serve una strategia radicata nella realtà sociale italiana. Non bonus estemporanei, ma investimenti veri su natalità e lavoro.

Sarebbe bello credere che basti copiare le ricette altrui per guarire i mali di casa nostra. Ma l’Italia non è la Svezia. E non perché manchino le risorse. Manca, semmai, la stoffa sociale, quel tessuto connettivo che regge una società equa, moderna e produttiva. Non abbiamo la loro scuola, il loro welfare, i loro asili, il loro senso civico. Pensare di ottenere i loro risultati senza passare dai loro sforzi, significa illudersi.
Demografia: non una statistica, ma un destino
La demografia non è un’emergenza, è una traiettoria. E l’Italia, da trent’anni, ha imboccato la discesa senza mettere freni. Due le strade possibili per invertire la rotta: tagliare, ridurre, compensare. Oppure investire, crescere, moltiplicare. Un Paese che invecchia senza rinnovarsi diventa inevitabilmente più povero. Lo stesso vale per il lavoro: se mancano braccia, si può ridurre l’orario di chi lavora o aumentare le fila di chi oggi è ai margini del mercato.
C’è una verità che molti ignorano: le donne lavorano di più dove fanno più figli. Non è un’eresia. È un dato. Dove ci sono servizi per l’infanzia, flessibilità, condivisione dei compiti familiari, le famiglie si formano e crescono. Dove invece tutto grava sulle spalle materne, le donne scelgono, spesso, di non scegliere la maternità. Il lavoro non è il nemico della natalità. È il suo alleato più fidato.
L’errore del copia-incolla
La soluzione? Ci dicono: “Facciamo come in Svezia.” Bene. Lì il 75% degli adulti lavora. Da noi, il 63%. Lì il 52% dei giovani è laureato. Da noi, il 29%. Lì, gli asili coprono oltre metà dei bisogni. Qui, neanche un terzo. È come voler montare un mobile svedese con le istruzioni scritte in italiano sbagliato e senza le viti. La politica italiana, troppo spesso, prende i pezzi a caso e li mette insieme a orecchio. E poi si lamenta se il tavolo traballa.
Il dibattito si spacca tra chi vuole più bambini e chi più migranti. Ma la verità è che servono entrambi, se l’obiettivo è evitare il collasso del sistema. Tuttavia, un Paese che non investe nelle sue nuove generazioni, che le malpaga, che le umilia con stage infiniti e contratti indecenti, non può sperare che restino. Né che tornino. E chi emigra, spesso, è il meglio che abbiamo.
Una questione culturale, prima che economica
Crescere non è solo una questione di PIL. È una questione di visione. Serve uno slancio sociale, che rimetta al centro il valore della famiglia, della comunità, del futuro. Senza slogan. Senza “blocchi navali” e senza “bonus bebè” una tantum. Serve una politica demografica organica, che parta dalla scuola e arrivi ai congedi paritari. Che si basi sulla speranza e non sulla paura. Che abbia il coraggio di guardare avanti, non indietro.
L’Italia può rinascere. Ma deve decidere se vuole essere un Paese di vecchi spaventati o di giovani incoraggiati. La risposta non arriverà da Stoccolma. La risposta deve arrivare da una nuova visione italiana della natalità: una visione che sa che fare figli non è solo una scelta personale, ma un atto di fiducia collettiva. E che quella fiducia si costruisce. Pezzo per pezzo.
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