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Economia & Lavoro

Inflazione, si vede una luce in fondo al tunnel

Le stime sui dati di dicembre evidenziano un possibile punto di svolta. Ma in Italia, gli aumenti di trasporti, petrolio e generi alimentari fanno temere un colpo di coda. Mentre la Bce non blocca l’aumento dei tassi

Carlo Vedani

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Inflazione
Inflazione (© Depositphotos)

Nell’Eurozona, l’inflazione ha forse raggiunto il suo picco. Almeno a quanto suggeriscono le stime Eurostat di fine 2022, che vedono in media un’inversione di tendenza: a dicembre, la crescita del vortice inflattivo si è attestata sul 9,2% rispetto a fine 2021, contro il tasso annuo del 10,1% registrato in novembre. Su base mensile, invece, i prezzi al consumo sono calati dello 0,3%.

Il trend è più marcato in Germania, dove secondo Destatis (l’ufficio federale di statistica) l’inflazione è in fase calante – dal 10,4% di ottobre e dal 10% di novembre all’8,6% di dicembre, con un decremento dei prezzi al consumo dello 0,8% mese su mese. Una contrazione che, secondo l’ente, è comunque condizionata dall’intervento del governo; lo stato ha infatti pagato una tantum le bollette di dicembre, riducendo il tasso del mese dell’1,2% (stima Commerzbank).

Italia, possibile colpo di coda dell’inflazione

Anche in Italia il dicembre dell’inflazione registra una leggera discesa (dall’11,8 all’11,6% di novembre, sempre su base annua). È un segnale per il futuro, anche se a breve termine potrebbe verificarsi un nuovo rialzo “a tempo”: nonostante la prevista discesa dei prezzi di gas ed energia, occorrerà anche prevedere l’impatto degli aumenti generalizzati di gennaio (tra questi, il rincaro del biglietto dei mezzi pubblici a Milano, da 2 a 2,20 euro, la crescita delle tariffe ferroviarie, il caro-generi alimentari e il “combinato disposto” tra mancato rinnovo del taglio delle accise, sospetti di speculazione sui prezzi dei carburanti e imminente stop alle importazioni di prodotti raffinati dalla Russia, in calendario il prossimo 5 febbraio).

Tutto si giocherà sui prezzi dell’energia, vero motore di questa crisi: se il metano e le materie prime non dovessero tornare a salire, l’inflazione potrebbe intraprendere un importante percorso di ridimensionamento.

Questo trend, se confermato, farebbe molto bene all’obbligazionario, che ha già recuperato il tonfo di dicembre (cui hanno contribuito le dichiarazioni di Christine Lagarde) e potrebbe dar seguito al rimbalzo.

E i tassi?

Per il momento, però, la politica della Bce non cambia. L’Eurotower si appresta ad alzare nuovamente i tassi, che cresceranno ancora di mezzo punto. Potrebbe essere l’ultimo ritocco, anche se è meglio non scommetterci troppo: dalla Banca Centrale Europea è lecito aspettarsi amare sorprese.

Aumenti previsti anche oltre oceano. Lo evidenziano i verbali relativi alla riunione del Fomc (divisione della Fed che si occupa della politica monetaria americana) tenutasi il 13 e 14 dicembre. Anche la Federal Reserve, si è detto nel corso della due giorni, procederà a un aumento di mezzo punto e non diminuirà i tassi neppure in caso di calo dell’inflazione. Almeno fino a quando l’obiettivo dichiarato del 2% non sarà raggiunto. Della serie: non se ne parlerà per almeno un anno.

Banche, buone prospettive

Non tutti, però, piangono per i tassi in rialzo. Perché questo trend è una vera manna per il settore bancario, favorito sia dall’aumento del margine di interesse, sia dalla remunerazione a tassi positivi del denaro depositato in Bce.

In questi anni, inoltre, le aziende di credito hanno visto crollare le loro valutazioni e questo rende lecito ipotizzare un ampio margine di crescita in uno scenario che, come detto, è estremamente favorevole.

Il recupero è già iniziato, come testimonia lo Stoxx Europe 600 Banks, che raccoglie i principali gruppi di credito in Europa: l’indice ha infatti registrato un aumento dai 117 punti dello scorso 12 ottobre a oltre 148. Nel corso di quest’anno, la fase positiva potrebbe proseguire, rendendo fruttuosi gli investimenti in titoli di aziende di credito.

Ottime prospettive anche per le obbligazioni bancarie, che ultimamente stanno rendendo anche oltre il 5%. Anche qui occorre molto prudenza nella selezione degli emittenti e delle emissioni, nonché un buon grado di dinamicità nella gestione delle posizioni.

E se l’aumento dei tassi si fermasse? In questo caso, le utility – che stanno soffrendo in maniera seria i continui rialzi – potrebbero rivelarsi una buona alternativa, con diverse prospettive di rimonta.

Croazia nell’euro. Ed è caos prezzi

Se Europa e Stati Uniti calcolano attentamente i punti percentuali (o i centesimi) di rincaro o di decremento dei costi, in funzione del settore esaminato, c’è un paese Ue che ha recentemente assistito a un’impennata folle dei prezzi. Si tratta della Croazia, che all’indomani dell’ingresso nell’euro (lo scorso gennaio) ha visto lievitare i listini della spesa.

Il boom ha diffuso il panico nel paese, e ciò ha costretto il premier Andrej Plenković a confrontarsi in tutta fretta con gli uomini dell’ispettorato di stato e dell’amministrazione fiscale e doganale, e il ministro dell’economia Davor Filipović a convocare d’urgenza associazioni di categoria e rappresentanti della grande distribuzione.

I 500 controlli effettuati dal 2 al 5 gennaio hanno evidenziato 300 irregolarità, e i numeri stanno salendo vorticosamente. I commercianti, da parte loro, hanno attribuito la responsabilità all’aumento dei prezzi all’ingrosso e degli affitti dei locali, che li avrebbero costretti ad adeguare i costi al dettaglio.

Chiunque sia responsabile di questo boom, sembra di rivivere in tempi più frenetici la situazione europea (soprattutto italiana) dopo l’introduzione dell’euro. Con un’aggravante: i croati conoscevano bene ciò che era accaduto in Europa nel 2002 e negli anni seguenti, ma chi di dovere non ha potuto (o voluto) far nulla per evitare il ripetersi di questa esperienza.

Per la Croazia, l’ingresso nell’euro era probabilmente inevitabile, dati i forti legami (politici, ma soprattutto commerciali) con la Germania; tuttavia, se gli aumenti non dovessero rientrare, a Zagabria potrebbe montare un’ondata di euroscetticismo difficilmente arginabile. Ricalcando, anche in questo caso, le esperienze di altri paesi Ue, fortemente europeisti fino a quando la cattiva gestione della moneta unica e la diminuzione del potere d’acquisto hanno raffreddato l’entusiasmo delle classi medio-basse.

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