Economia & Lavoro
La leggenda Buffett scende dal trono (e noi non sentiremo la sua mancanza)
Warren Buffett lascia la guida di Berkshire Hathaway. Ma il suo addio segna anche la fine di una finanza paternalistica. Il futuro non ha più bisogno di oracoli, ma di visioni collettive.

Si dimette il più celebre investitore del mondo, Warren Buffet, e il mondo della finanza si trattiene il respiro. Ma forse non per nostalgia. L’uscita di scena di un novantaquattrenne non è un tramonto improvviso. È l’inevitabile congedo di una figura che ha avuto la rara fortuna di vivere abbastanza a lungo da vedere glorificata ogni propria intuizione, ed essere ancora presente mentre il mondo cambia pelle. Ma ciò che si spegne non è il suo genio: è il mito di una finanza paternalistica, che pretendeva di conoscere il futuro con la sola forza del buon senso.
L’ultimo oracolo
Era chiamato “l’oracolo”, ma i suoi vaticini non avevano nulla di mistico. Semmai il contrario: si basavano su un’ossessione per il valore, sul culto della pazienza, sulla fedeltà a una logica antica in un mondo sempre più schizofrenico. Eppure, quella logica ha funzionato per un tempo straordinariamente lungo, proprio perché il suo fondatore è stato un maestro nel travestire la semplicità da saggezza. Ma l’industria attorno a lui ha imparato a replicarne i gesti, non lo spirito.
Abel, l’erede silenzioso
Ora il testimone passa a Greg Abel, un uomo senza narrazione, senza favole da raccontare. Il suo curriculum è impeccabile, la sua dedizione totale. Ma l’epica non si eredita. E forse è un bene. Perché il rischio più grave, oggi, è credere che la finanza abbia ancora bisogno di padri nobili, di “santi protettori” da idolatrare ogni primavera in assemblee-spettacolo. È finito il tempo dei comandamenti scolpiti a mano. Comanda l’algoritmo, governa l’incertezza, e chi promette certezze è un ciarlatano, non un saggio.
L’illusione della prevedibilità
Lo stesso uomo che ammoniva «non mi spavento se Berkshire crolla del 50%» ha incarnato la rassicurante illusione della prevedibilità, perfetta per generazioni cresciute con il mito del controllo. Ma le crisi di oggi – dalle guerre valutarie ai crolli tech – sfuggono alla lente di chi osserva con lo stesso schema da decenni. Il vero investitore “smart”, quello di domani, non avrà bisogno di aforismi su Wall Street o di aneddoti sull’infanzia nel Nebraska: avrà bisogno di strumenti, dati, coraggio. E soprattutto di saper fallire.
Un congedo senza lacrime
Non si piangono i giganti. Li si archivia. Con rispetto, ma senza inchini. Perché ciò che oggi serve è smettere di inseguire “indicatori Buffett” e cominciare a leggere la realtà senza filtro. Le montagne di liquidità, i dazi, le guerre del commercio non si affrontano più con il fiuto del singolo. Servono visioni collettive, serve un pensiero sistemico. Se c’è una lezione da prendere in eredità, è proprio questa: non bastano più i padri fondatori. Servono costruttori anonimi di futuro.
E noi, di certo, non sentiremo la mancanza di chi ci ha abituati a pensare che bastasse crederci.
Continua a leggere le notizie di DiariodelWeb.it e segui la nostra pagina Facebook
