Economia & Lavoro
Sciopero generale: una storia di chiavi inglesi, ideologie smarrite e maestri senza cattedra
Lo sciopero generale di Landini ripropone vecchie ideologie senza soluzioni concrete. La CISL, con Sbarra, punta sul dialogo. I sindacati affrontano una crisi d’identità tra passato e futuro incerto.
Lo sciopero generale di Maurizio Landini e della CGIL somiglia più a un salto nel passato che a un passo verso il futuro. Guardiamoli, i cortei: bandiere rosse che sembrano sbiadite, slogan che rimbombano senza eco, e un leader che arringa con la passione di chi crede di guidare la classe operaia verso l’ennesima rivoluzione. Ma la storia insegna, e gli insegnamenti, purtroppo, sembrano ignorati.
La retorica del conflitto e una classe operaia frammentata
Maurizio Landini ha portato in piazza l’anima combattiva del sindacato, quella che si nutre di contrapposizioni frontali. La retorica del “noi contro loro“, del “padrone” contro il “lavoratore”, rispolverata con un vigore che non si vedeva dai tempi delle lotte operaie degli anni ’70. Ma quegli anni sono lontani e la società di oggi, fluida e spezzettata, ha frantumato quella che un tempo si chiamava classe operaia. I lavoratori di oggi non sono solo fabbriche, ma precariato diffuso, partite IVA, giovani senza tutele. Quelli che un tempo avrebbero affollato le piazze, oggi lavorano da remoto, in un coworking o, più spesso, sono troppo impegnati a sopravvivere per scioperare.
La strategia della CISL e il valore del compromesso
Non è un caso, allora, che la CISL di Luigi Sbarra abbia scelto di dissociarsi. La CISL rappresenta il sindacato che negozia, che ottiene compromessi. Luigi Sbarra ha lanciato l’affondo: “Non è con lo sciopero che si ottengono risultati, ma con il dialogo”. Una frase che può sembrare pacata, persino noiosa, ma che fotografa il reale: la capacità di mediare è ciò che porta risultati nel mondo moderno, non le barricate.
E qui sta il punto dolente. Il sindacato di Landini sembra incagliato in una deriva pericolosa, quella che rischia di trasformare la protesta in una piattaforma politica. Il rischio è che la CGIL, nata per difendere i diritti dei lavoratori, si trasformi nel partito del “vaffa”, quello della rabbia e del rifiuto, senza un programma né una prospettiva. Perché le chiavi inglesi e i cortei servono a poco se non sono accompagnati da idee concrete, da soluzioni vere.
La crisi d’identità dei sindacati
La verità, amarissima, è che i sindacati oggi devono affrontare una crisi d’identità. Da una parte, c’è chi come Sbarra cerca di innovare, di adattarsi a un mondo del lavoro mutato; dall’altra, c’è chi si aggrappa a un passato glorioso ma ormai superato, rischiando di diventare un simbolo vuoto.
I cattivi maestri, quelli che aizzano senza costruire, sono ancora tra noi. Landini si batte il petto, rivendicando un’idea di lotta che oggi appare anacronistica, un richiamo ai tempi in cui il sindacato era una forza trainante della politica. Ma quei tempi, come i leader che li rappresentavano, non ci sono più. Resta solo una piazza, grande quanto basta per fare rumore, ma troppo piccola per cambiare il corso della storia.
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