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Economia & Lavoro

Stati Uniti: compromesso raggiunto sul debito

Il presidente americano Biden e lo speaker della Camera Kevin McCarthy hanno trovato un accordo che dovrebbe consentire agli Stati Uniti di alzare il tetto ed evitare la bancarotta. Ora la parola va al Congresso

Carlo Vedani

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Banconota Dollaro
Banconota Dollaro (© Depositphotos)

Alla fine, il compromesso tra il presidente americano Joe Biden e lo speaker della Camera Kevin McCarthy sul tetto al debito Usa è arrivato. Si attende ora la ratifica da parte del Congresso, che dovrà giungere non oltre il 5 giugno. Pena, il default del paese.

Si ritiene che il via libera di Camera (previsto fra poche ore) e Senato arriverà, anche se i negoziatori dovranno cautelarsi da imboscate da parte dell’ala “trumpiana” dei repubblicani – contraria all’aumento della spesa militare a favore dell’Ucraina – e della sinistra democratica, infastidita dai tagli al welfare e timorosa di un passo indietro sugli investimenti in materia di lotta al cambiamento climatico.

L’accordo

Più nel dettaglio, l’accordo prevede un aumento del debito pubblico americano, controbilanciato da alcuni tagli – anche se molto più moderati rispetto ai 130 miliardi di dollari chiesti dai repubblicani.

Non sarà toccato, come già anticipato, il sostegno militare Usa per Kiev, considerato da Biden una priorità non negoziabile: dalla trattativa è scaturito un budget pari a 886 miliardi, con un aumento di spesa del 3,5%.

Il presidente Usa ha invece ceduto sui requisiti per utilizzare il welfare, con l’aumento di cinque anni (da 49 a 54) per poter accedere ad alcune forme di assistenza, come i buoni pasto.

Mercati tiepidi

I mercati hanno reagito all’accordo in maniera abbastanza tiepida: soprattutto in Europa, è proseguita la calma che ormai perdura da tre mesi. Negli Usa, il compromesso ha spinto in alto i future sulle azioni nazionali, che hanno registrato ottime performance dopo i ribassi di qualche tempo prima; tuttavia, a sostenere l’indice americano sono stati soprattutto i titoli tecnologici – principalmente quelli legati all’intelligenza artificiale.

Per il resto, nelle Borse occidentali prosegue la dinamica di scambi abbastanza limitati e attesa, condita da timori per una possibile fase recessiva.

Fed divisa

Sicuramente, le banche centrali non stanno facendo molto per evitare questo rischio, anche se nei loro board il dibattito su nuovi aumenti dei tassi è più animato di quanto si creda. Se in casa Bce prevalgono i “rialzisti”, il confronto nella Fed sembra leggermente più incerto. Lo rivelano gli ultimi verbali Fomc, che hanno evidenziato incertezza sull’opportunità di procedere a nuovi inasprimenti monetari. I funzionari sembrano divisi, e non hanno fatto nulla per nasconderlo.

Se la Federal Reserve alla fine dovesse decidere di procedere a nuovi rialzi (operazione, a questo punto, non così scontata), non supererà probabilmente un adeguamento di 50 punti base, o forse di 25 – a differenza di quanto potrebbe decidere la Bce, orientata verso tre aumenti entro l’estate.

Il picco, in ogni caso, sembra vicino. La materia del contendere, ora, è un’altra: quanto tempo i tassi rimarranno così alti prima di iniziare a calare. Si teme che la discesa sarà meno rapida di quanto si potesse immaginare, soprattutto in Europa.

Germania in recessione tecnica

Intanto la Germania è entrata in recessione tecnica di qualche decimo di punto.

Varie le cause del fenomeno: tra queste, onda lunga della pandemia, crisi energetica (particolarmente sofferta, data la dipendenza dal gas russo) e conseguente aumento dei prezzi al consumo, decarbonizzazione troppo veloce e radicale.

Intendiamoci: è presto per stracciarsi le vesti. La situazione potrebbe infatti essere transitoria e superabile in breve tempo. Ma c’è anche il rischio di un fenomeno più complesso e duraturo. Ed è questa eventualità a preoccupare: la Germania è il motore d’Europa, occupa il primo posto per prodotto interno lordo e ha sviluppato un sistema industriale robusto e interdipendente con gli altri stati del nostro continente. Per questo, uno scenario negativo potrebbe mettere in seria difficoltà l’intera Europa.

Detto questo, è lecito domandarsi: vale la pena incrementare ancora i tassi? Sembra che a Berlino e Francoforte questo interrogativo non abbia avuto molto successo, dato che la Bundesbank non si è mossa di un millimetro dalla sua posizione rialzista.

Ita passa a Lufthansa

Proprio in un momento critico per la Germania, intanto, si è verificata la tanto agognata vendita di Ita al gruppo Lufthansa, dopo sei mesi di trattative. Per ora, il gruppo tedesco rileverà il 59% della compagnia di bandiera italiana; tuttavia, il ministero dell’Economia e delle Finanze (che ha appena assicurato un aumento di capitale pari a 250 milioni di euro) ha lasciato aperta la possibilità di un’acquisizione totale da parte di Lufthansa.

Una buona notizia soprattutto per le tasche degli italiani, che in questi anni hanno dovuto sostenere costi improponibili per Alitalia. La possibilità che questa situazione possa finire, e che il denaro finora iniettato in forti dosi nella compagnia di bandiera abbia l’opportunità di essere dirottato verso interventi più utili, mette in secondo piano gli aspetti negativi legati alla perdita del controllo della nostra linea aerea, pur con il ruolo strategico che una compagnia ha per un paese. E fa sperare che finalmente la ex Alitalia possa essere gestita con criteri manageriali e sottratta alle influenze della politica.

Calmo come l’olio

Tutto tranquillo, invece, sul fronte petrolio. Sembra infatti che i tentativi sauditi di tagliare la produzione siano stati bloccati dal resto dell’Opec+. Emblematica era stata, la scorsa settimana, la dichiarazione del vicepremier russo Aleksandr Novak, che aveva negato un imminente diminuzione dell’export del greggio. Brent e Wti hanno quindi reagito con un calo – in realtà, nulla più di un minimo assestamento, per un valore che sembra ormai “incollato” alla forbice fra 70 e 80 dollari.

L’oro invece è tornato sotto la soglia dei 2.000 dollari l’oncia. L’andamento era prevedibile ed è destinato a proseguire se i rischi per il sistema bancario americano saranno definitivamente scongiurati. Un’eventualità, però, che non è scontata, dato che i segnali provenienti da Washington ci autorizzano a temere che la crisi bancaria Usa non sia ancora del tutto archiviata.

Va a gonfie vele, invece, il sistema bancario italiano, anche se la scorsa settimana alcune aziende di credito hanno ceduto qualcosa in Borsa. Le azioni bancarie sono al momento le uniche su cui al momento sembra proficuo e abbastanza sicuro scommettere: se si verificasse una correzione del 3%, questi titoli potrebbero rivelarsi un grande affare. Anche in tempo di mercati tranquilli.

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