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L’Ucraina, i minerali e l’America: l’oro nascosto della guerra
Dietro la guerra in Ucraina si cela un piano americano per il controllo delle risorse minerarie strategiche: litio, titanio e terre rare diventano la vera posta in gioco.

C’è un errore di prospettiva, o forse sarebbe meglio dire una colpevole miopia, nell’osservare la guerra in Ucraina come una semplice lotta per l’integrità territoriale. Dietro le prime linee, lontano dalle trincee e dai proclami diplomatici, si muovono interessi ben più concreti: terre rare, titanio, litio, grafite, e tutti quei minerali strategici senza i quali la civiltà moderna – così come la intendiamo – si fermerebbe come un’auto senza carburante.
La guerra non è mai solo ciò che appare. E dietro la bandiera blu-gialla dell’eroismo nazionale, si cela l’inconfessato piano di un’America che, come sempre, pensa in grande. E soprattutto, pensa in avanti.
La mano invisibile di Washington
Chi ha occhi per vedere, e soprattutto la voglia di guardare, noterà che il Dipartimento di Stato americano ha recentemente concluso un accordo con l’Ucraina per mappare, sviluppare e sfruttare le sue risorse minerarie. Dietro la facciata della cooperazione e della sicurezza, si muove una strategia coerente e fredda: garantirsi l’accesso esclusivo alle ricchezze del sottosuolo ucraino, riducendo al contempo la dipendenza occidentale dalla Cina.
Joe Biden, come già fece Franklin Delano Roosevelt con i pozzi di petrolio sauditi, sta costruendo un’alleanza basata non su ideali ma su utilità. L’Ucraina? Più che un alleato, una colonia energetica, una riserva strategica sotto tutela.
Il nuovo eldorado: la Transcarpazia e il Donbass
L’area più ricca di terre rare e minerali industriali è proprio il cuore conteso della nazione: il Donbass. Una coincidenza? Difficile crederlo. La società ucraina Naftogaz, oggi partner delle autorità americane, non è più solo un attore energetico: è diventata un’appendice geopolitica di Washington, un grimaldello per aprire il caveau minerario d’Europa orientale.
E i piani non sono più segreti: lo sviluppo di questi giacimenti verrà finanziato con fondi pubblici americani, formalmente per aiutare l’economia ucraina, ma sostanzialmente per controllarne le risorse. I profitti? In gran parte privati. E soprattutto, statunitensi.
Un piano Marshall rovesciato
Nel dopoguerra europeo del ’45, l’America portava grano, acciaio, dollari. Oggi porta droni, trivelle e mappe geologiche. L’Ucraina riceve tecnologia, ma cede sovranità economica. In cambio di protezione militare, apre i suoi giacimenti ai contractor occidentali, sotto l’egida della sicurezza energetica e dell’indipendenza strategica.
Un patto faustiano, dove il diavolo non si presenta più col forcone, ma con le credenziali del Pentagono e una joint venture mineraria in mano.
L’Occidente buono e la geopolitica cinica
Nessuno si illuda: la libertà ha un prezzo, e in Ucraina, quel prezzo si misura in tonnellate di litio e gallio, non in voti o principi. La narrativa del bene contro il male è comoda, ma falsa. A vincere non sarà chi resiste meglio ai missili, ma chi scava più in profondità e con più profitto.
L’Ucraina rischia di diventare una nuova Africa, depauperata non con la violenza, ma con la promessa della ricostruzione. E l’America? Sempre più imperiale, sempre meno idealista.
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Piero Cappelli Cappelli
14 Aprile 2025 at 7:52
molti stati grandi potenti e meno potenti cercano il proprio torna conto, anche noi italiani. poi, sì, aiutiamo ma quasi sempre con l’interesse nazionale. è questa la logica del mondo.
piero
14 Aprile 2025 at 10:12
ottima analisi molto condivisibile