Biella
Gli Alpini a Biella? Meglio loro che il nulla
Gli Alpini non salveranno Biella, ma sono un inizio. Ecco come ripartire dal cuore e non solo dai numeri.

Abbiamo letto la dotta analisi secondo cui i 300.000 Alpini che stanno per scendere su Biella non salveranno il territorio. Scandalo! Clamorosa rivelazione! Nessuno lo pretendeva, eppure qualcuno ci tiene a ribadirlo: “Non aspettatevi miracoli”. Come se le penne nere fossero arrivate a pretendere di far ripartire le filiere produttive col passo dell’oca o di risanare l’economia locale a colpi di cori da caserma.
Bene. Benissimo. Ma ora, mi si consenta una domanda semplice: da dove, allora, cominciamo?
Le frittate si rovesciano
Perché se è vero, come è vero, che una settimana di baldoria non cancella anni di oblio, è anche vero che nessuna ripartenza può prescindere dal cuore. E gli Alpini portano cuore, gambe, marce, canti, memoria e senso di comunità. Qualcuno li chiama “retorica”, io li chiamo cultura popolare in armi, gente che sa ancora distinguere l’onore dalla polemica sterile.
Chi si lamenta oggi del “nulla dopo”, dimentica che è proprio quel nulla che ha preceduto l’arrivo delle penne nere. Nulla si è fatto per la funivia di Oropa. Nulla per i collegamenti ferroviari. Nulla per trattenere i giovani. Ora che arriva qualcosa — e che qualcosa! — ci si preoccupa del giorno dopo la festa. Ma la festa va fatta, proprio per ricordarsi che si è vivi, e che una comunità può ancora stringersi attorno a un simbolo.
Una lezione che viene da lontano
Io sono cresciuto con la narrazione degli Alpini come angeli di fango, come fratelli di trincea e di cantina. Li ho visti con la pala in mano, non con le mani in tasca. Li ho sentiti cantare l’“Addio monti” con la stessa gravità con cui un soldato saluta il compagno caduto. E se oggi scelgono Biella come loro casa per un fine settimana, non è solo turismo: è un’investitura.
Non ci salveranno gli Alpini, certo. Ma non ci ha salvato neppure la politica, la burocrazia, l’Europa, i fondi a pioggia. Se la città saprà sfruttare quest’onda, bene. Se lascerà scivolare tutto via, peggio per lei. Ma almeno, per un giorno, Biella tornerà al centro della carta geografica e del cuore degli italiani.
La nostalgia come anticorpo
Ecco dunque il punto: chi guarda con fastidio ai grandi eventi ha già perso la battaglia della speranza. Vorrebbe che tutto cambi, ma non accetta il cambiamento che parte dal basso, dalla gente, dalle emozioni. Gli Alpini non sono la soluzione. Ma sono un inizio, e di inizi abbiamo un disperato bisogno.
Perché meglio una marcia alpina che il silenzio tombale delle periferie senza futuro.
Concludendo: viva gli Alpini. E chi non li sopporta, si beva almeno un bicchiere con loro. Perché, forse, Biella ha bisogno di meno prediche e più brindisi.
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