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L’inflazione porta a 2,3 milioni di famiglie in povertà assoluta

Gli impatti del caro-prezzi saranno particolarmente gravi per le famiglie già più vulnerabili, che destinano a spese essenziali (alimentari, affitti, acqua, luce e gas, salute) il 76% del proprio reddito

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Povertà (© Pixabay)
Povertà (© Pixabay)

La ripresa economica del 2021 e, successivamente, il conflitto in Ucraina, hanno generato una forte pressione inflattiva nel Paese, con l’indice dei prezzi al consumo che ad ottobre 2022 ha raggiunto il livello record dell’11,9% (come a marzo 1984). Oltre a impattare negativamente sulle stime di crescita del Pil nel biennio 2022-2023, la spinta inflattiva rischia di portare da 2 a 2,3 milioni il numero di famiglie in povertà assoluta – il numero più alto dall’inizio della rilevazione Istat nel 2005 – , per un totale di 6,4 milioni di persone. E’ quanto emerge dal Rapporto 2022 del Think Tank «Welfare, Italia» supportato da Unipol Gruppo con la collaborazione di The European House – Ambrosetti.

Gli impatti del caro-prezzi saranno particolarmente gravi per le famiglie già più vulnerabili, che destinano a spese essenziali (alimentari, affitti, acqua, luce e gas, salute) il 76% del proprio reddito (vs. 56% per le famiglie a più alto reddito): per le famiglie meno abbienti il reddito disponibile per le spese out-of-pocket (non necessarie alla sussistenza) è già stato più che decimato dall’inflazione, riducendosi del 20,7% (15,7 punti percentuali in più del quintile più ricco).

Inoltre, l’inflazione avrà un impatto negativo anche sui risparmi e sul valore dei salari reali: secondo le stime Ocse, nel 2022 il valore dei salari reali in Italia si ridurrà del -3,1% (rispetto alla media Ocse di -2,3%), in un contesto in cui l’Italia, negli ultimi 30 anni, è stato l’unico Paese dell’area Oecd che ha visto una diminuzione dei salari (-0,1% annuo tra 1990 e 2020).

Secondo le stime del Think Tank «Welfare, Italia», l’aumento generalizzato della spesa in welfare indotto dalla pandemia continua anche nel post COVID-19: dopo la crescita di 46 miliardi di euro nel 2020, tra il 2021 e il 2022 la spesa nei 3 pilastri «tradizionali» (Sanità, Politiche Sociali, Previdenza) e nell’Istruzione è aumentata di ulteriori 22 miliardi, di cui 18 solo nel 2022, raggiungendo i 615 miliardi di euro. In termini relativi, la previdenza continua ad assorbire circa la metà della spesa in welfare (48,4%), seguita dalla sanità (21,8%), dalle politiche sociali (18,2%) e dall’istruzione (11,6%).

Mercato del lavoro e dinamiche demografiche sono le due funzioni chiave di un sistema di welfare. Dopo aver approfondito il tema del lavoro nell’edizione passata, nel 2022 il Think Tank «Welfare, Italia» si è focalizzato sull’ambito demografico, analizzandone le dinamiche, le cause, gli impatti, e le possibili strategie d’azione.

Nel 2021, per la prima volta nella storia italiana, il numero di nati è sceso sotto la soglia dei 400mila (attestandosi a 399mila), contribuendo a un saldo naturale negativo di 214mila persone. Già nel 2020, soprattutto a causa della pandemia da COVID-19, si era registrato un saldo naturale negativo di 335mila persone, il peggiore dal 1918 (anno dell’epidemia di «spagnola”).

Il riflesso di questo andamento è il tasso di natalità, che in Italia è pari a 6,8 nati per mille abitanti, il valore più basso nell’intera Unione Europea, con un gap di 2,3 nati dalla media europea (9,1 nati) e di 4,8 dal Paese best performer (l’Irlanda, con 11,6). Di conseguenza, l’Italia registra il tasso di dipendenza degli anziani più alto nell’UE-27 (40,1 over-65 per 100 persone nella fascia 20-64 anni), dietro solo alla Finlandia (40,3%) e con un valore superiore alla media europea (35,4%) di 4,7 punti percentuali.

Sul fronte migratorio, tra 2011 e 2020, il saldo è stato positivo e pari a 1,7 milioni di persone (il 2,9% della popolazione italiana al 2020). Tuttavia, nello stesso periodo, per entrambe le sue componenti – emigrazione ed immigrazione – l’Italia riporta dei trend rispettivamente in aumento e in calo: il numero di emigrati è aumentato del +93,9% (7° variazione a livello UE), mentre il numero di immigrati si è ridotto del -35,8% (la peggiore variazione in UE).

Un aspetto critico riguarda il Capitale Umano perso (e non recuperato) dal Paese: dei 121mila italiani che hanno lasciato l’Italia nel 2020, il 26% (circa 31mila persone) possedeva la laurea o un titolo di studio superiore e, allo stesso tempo, la percentuale di laureati stranieri nel Paese (13,3%) è la più bassa nell’intera area OCSE (media del 40,8%).

«Welfare, Italia» ha stimato che se tutti gli emigrati nel 2020 non tornassero in Italia durante la loro vita lavorativa, il Paese perderebbe circa 147 miliardi di euro, ovvero la somma tra il costo della spesa in istruzione perso, pari a 10,5 miliardi di euro, e i mancati redditi guadagnati dagli emigrati nel corso della loro vita lavorativa all’estero (stimata in circa 35 anni), pari a 136,5 miliardi di euro.

Ai trend demografici attuali, in assenza di politiche correttive, al 2035 l’Italia perderà il 4,2% della popolazione rispetto al 2022 (pari a 4,4 milioni di persone in età lavorativa) e dovrà sostenere 3,6 milioni di over-65 in più rispetto ai livelli attuali; al 2050, nello scenario baseline delle Nazioni Unite, la popolazione italiana potrebbe attestarsi a 52,3 milioni di persone – 6,7 milioni in meno del 2020 – con un’incidenza degli over-65 pari al 37% del totale. Considerando invece lo scenario peggiore, la diminuzione della popolazione rispetto ai livelli del 2020 potrebbe essere pari a 10,5 milioni in meno nel 2050.

La diminuzione della base lavorativa e l’aumento della popolazione anziana metteranno ancor di più sotto pressione la sostenibilità del sistema di welfare del Paese. In ambito pensionistico, nel 2035 il numero di pensionati supererà per la prima volta quello degli occupati (il rapporto di equilibro dovrebbe essere 3 lavoratori per 2 pensionati) e, nello stesso anno, l’incidenza della spesa previdenziale sul Pil potrebbe raggiungere il picco del 17,5%. In ambito sanitario – dove l’invecchiamento è associato a un aumento delle malattie non trasmissibili e croniche e da una maggiore pressione sui sistemi sanitari e di assistenza socio-sanitaria – secondo le stime di Meridiano Sanità la spesa sanitaria pubblica raggiungerà i 164 miliardi di euro entro il 2035 (7,9% del Pil) e i 220 miliardi di euro entro il 2050 (9,5% del Pil).

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