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Opinioni

Alberto Bradanini: «Non c’è via d’uscita dall’impasse mediorientale»

Al DiariodelWeb.it l’analisi di Alberto Bradanini, ex ambasciatore italiano a Teheran e Pechino, sulla tensione nella polveriera in Medio Oriente tra Israele e Iran

Fabrizio Corgnati

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Attivisti pro Palestina in un corteo a Bologna
Attivisti pro Palestina in un corteo a Bologna (© Fotogramma)

La lunga guerra fredda tra gli acerrimi nemici Israele e Iran è esplosa, nelle scorse settimane, in un reciproco scambio di attacchi, contrattacchi e rappresaglie, ma anche di dichiarazioni retoriche e mosse strategiche, come le sanzioni recentemente decise da Teheran contro Usa e Regno Unito. E così, mentre si vocifera di nuove trattative sulla tregua tra Tel Aviv e Hamas, sullo sfondo della polveriera mediorientale si staglia sempre il rischio di un’escalation della tensione, dagli esiti quantomai incerti. Il DiariodelWeb.it ha interpellato per un’analisi Alberto Bradanini, ex ambasciatore italiano in Iran e Cina.

Alberto Bradanini, che idea si è fatto dello scambio di attacchi e contrattacchi tra Israele ed Iran?
Partiamo dall’attacco israeliano all’ambasciata iraniana a Damasco: una vera e propria dichiarazione di guerra, una violazione gravissima del diritto internazionale e della convenzione di Vienna, che non è stata sufficientemente stigmatizzata dalla macchina della menzogna occidentale. Tutta la stampa si concentra pregiudizialmente su quanto è accaduto il 7 ottobre, nessuno studia quello che è avvenuto prima e dopo.

Come mai?
Perché, anche quando le sue rivendicazioni sono giuste, bisogna mettersi contro all’Iran, nemico di Israele, di conseguenza degli Stati Uniti e dunque dell’Europa, che è un insieme di Paesi vassalli.

Insomma, è Israele ad aver scagliato la proverbiale prima pietra.
Con un attacco inconsulto, probabilmente non meditato a sufficienza. Finora l’Iran aveva sempre subìto le aggressioni israeliane contro i propri scienziati o consiglieri militari senza reagire, accettando una deterrenza passiva, perché temeva la reazione di Tel Aviv e soprattutto di Washington.

Stavolta, però, Teheran ha reagito.
In maniera inattesa, ma intelligente, moderata, meditata. Ha preavvertito gli americani che avrebbe inviato oltre trecento droni e missili, dando tempo di predisporre le difese. Non ha fatto vittime, diversamente dall’attacco israeliano che ha ammazzato quattordici persone, tra cui cittadini siriani che non c’entravano niente. Però ha dimostrato di poter colpire qualsiasi obiettivo con precisione quasi millimetrica, come la base aerea di Nevatim. Questo fa la differenza.

In che senso?
Finora Israele ha vissuto nel mito dell’invincibilità. Per una ragione militare, perché il suo esercito era considerato superiore a quello dei suoi nemici storici dell’area. E per una ragione strategica, perché ha sempre potuto godere dell’appoggio degli Usa. Stavolta la prima ragione è stata demolita: i missili balistici hanno raggiunto il bersaglio e la prossima volta l’Iran ha dichiarato che potrebbe colpire la principale base nucleare, quella di Dimona.

E per quanto riguarda l’appoggio americano, invece?
L’Iran ha scoperto una contraddizione: fino a ieri Washington e Tel Aviv avevano una politica strategica sovrapponibile, ora non più. Israele vuole ampliare il conflitto, per avere mano libera assoluta contro i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. Gli Usa, invece, non hanno interesse a una guerra: non solo perché creerebbe problemi a Biden nell’anno elettorale, ma anche perché comporterebbe il blocco dello stretto di Hormuz, dove passa il 20% del petrolio mondiale che viaggia via nave. Ciò farebbe rialzare l’inflazione e precipitare le borse occidentali.

La reazione delle nazioni dell’area mediorientale, invece, qual è stata?
Israeliani e americani si aspettavano un appoggio incondizionato degli altri Paesi arabi, il cui sentimento anti-iraniano è piuttosto radicato. In realtà soltanto la Giordania ha partecipato all’abbattimento di qualche drone, ma con un ruolo ininfluente. Per di più questi Paesi hanno dichiarato che non avrebbero consentito l’uso delle basi militari per colpire l’Iran, perché in questo caso diventerebbero loro stessi dei bersagli. Usa e Israele sono rimasti sostanzialmente isolati.

Aleggia sempre lo spettro di un’escalation nucleare.
Si sono sentite voci, non si sa quanto veritiere, secondo cui l’Iran potrebbe rivedere la propria politica nucleare. Nonostante le continue accuse false di Israele, finora non c’è stata alcuna evidenza che Teheran stia costruendo la bomba atomica. Però è vero che cerca di raggiungere la cosiddetta «capacità di soglia», che darebbe la capacità di costruirla in poco tempo in caso di necessità estrema. Anche questa prospettiva cambierebbe il quadro.

Alla reazione dell’Iran è seguita la contro-reazione di Israele.
Una contro-reazione finta, che non ha fatto nessun danno. Questo significa che gli Stati Uniti hanno esercitato una forte pressione contro la volontà del governo israeliano. All’interno del quale, tra l’altro, ci sono figure decisamente più estremiste dello stesso Netanyahu, come Ben-Gvir.

E il popolo che posizione ha?
Il 67% degli israeliani reputa che il governo stia facendo troppo poco contro Hamas, non troppo. Ormai quel Paese si è radicalizzato: basta guardare i soldati che ballano, ridono e scherzano mentre i poveri palestinesi vengono massacrati. L’unica spiegazione è che hanno subìto un lavaggio del cervello fin da bambini.

Dunque né gli Usa, né l’Iran vogliono un allargamento del conflitto. Quanto ritiene probabile questo scenario?
Siamo davanti a un’impasse senza via d’uscita. Sulla carta si possono immaginare quattro soluzioni, tutte improponibili. Primo: uno Stato unitario con pari diritti per tutti, ma questo significherebbe la fine di Israele, visto che i palestinesi fanno più figli. Secondo: un apartheid come quello attuale, che però non stabilizza il quadro, perché la violenza cova sotto la cenere ed è destinata a esplodere. Terzo: cacciare tutti i palestinesi, come stanno cercando di fare, ma dove si ricollocherebbero? Quarto: i due Stati, che però Israele non vuole.

E quindi come se ne esce?
Fintanto che gli americani continueranno a consentire a Israele di fare letteralmente qualsiasi cosa, il quadro non cambierà. A meno che non si dovessero modificare i rapporti di forza in Medio Oriente: o perché l’Iran acquisisse la bomba atomica, o perché le altre grandi potenze fossero in grado di bilanciarli.

Si riferisce alla Russia e alla Cina?
Più alla Russia, che sta già scambiando armamenti con l’Iran e potrebbe essere ulteriormente coinvolta attraverso altri Paesi amici, come la Siria. La Cina, invece, non ama mescolarsi in vicende lontane e che non la riguardano. Anzi, più gli americani sono impantanati in Medio Oriente e in Ucraina e meglio è per loro.

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