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Opinioni

Alberto Negri: «Quanta disinformazione sulla guerra in Ucraina»

Il DiariodelWeb.it intervista Alberto Negri, giornalista, scrittore e storico inviato di guerra. È in libreria il suo ultimo libro «Bazar Mediterraneo» (edizioni Gog)

Fabrizio Corgnati

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Alberto Negri (© Fotogramma)

Una voce autorevole, esperta, originale e soprattutto chiara. Il DiariodelWeb.it ha intervistato Alberto Negri, giornalista, scrittore, storico inviato speciale per «Il Sole 24 Ore», che ha scritto reportage da tutti i principali scenari geopolitici e di guerra degli ultimi trent’anni: Iran, Iraq, Afghanistan, Balcani, Africa, Turchia, Siria… Il suo ultimo lavoro letterario è «Bazar Mediterraneo», edito da Gog, che raccoglie scritti, appunti, articoli dei suoi viaggi tra l’Algeri di Camus e la Alessandria di Ungaretti, la Salonicco dei profeti e la Istanbul di Erdogan.

Alberto Negri, tra i tanti viaggi che ha fatto nel corso della sua carriera, perché ha deciso di raccontare proprio il Mediterraneo? Da dove nasce questa fascinazione?
Nel Mediterraneo ci facciamo il bagno, ci siamo immersi. L’Italia è un Paese ricco di storia che deriva proprio dalla sua posizione: dalla cultura etrusca, a quella greca, a quella fenicia, a quella latina, a tutte quelle che si sono avvicendate in questo Paese, sono nate e vissute in questo Mare. E molte delle nostre città ne fanno parte intimamente.

Come mai, allora, l’Italia sembra aver rinunciato al suo ruolo di riferimento nel Mediterraneo, per guardare invece più a nord, all’Europa continentale?
Il nostro è un Paese che ormai da un trentennio non ha una politica estera autonoma. In parte l’ha fatta esercitare in parte dagli Stati Uniti, che hanno piazzato sul nostro territorio sessantaquattro basi militari Nato, in parte l’ha delegata all’Unione europea. L’Italia aveva e ha ancora una fortissima proiezione mediterranea, ma bisogna saperla valutare e non ignorarla.

Oggi la stiamo ignorando?
Pensiamo al gas in Algeria: non è che abbiamo iniziato a importarlo perché il nuovo governo si è inventato il piano Mattei. Lo importiamo dagli anni ’50-’60: i governi di Andreotti, Craxi, Moro si adoperarono per avere buoni rapporti economici e politici con la sponda sud del Mediterraneo. Se noi italiani contemporanei non abbiamo saputo sfruttare il ruolo che avevamo è solo colpa nostra.

Abbiamo sprecato una posizione che avevamo costruito nel corso di decenni?
Le ricordo che, alla vigilia delle primavere arabe, nel 2011, l’Italia era il primo partner commerciale della Libia, dell’Algeria, del Libano, della Siria, uno dei primi dell’Egitto. Poi c’è un altro fronte: quello che ci vede approdo di centinaia di migliaia di migranti, che si muovono a causa di rivolgimenti politici, rispetto ai quali non abbiamo preso alcuna decisione.

A proposito di 2011, si riferisce all’attacco alla Libia di Gheddafi?
L’hanno fatto la Francia, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Noi, che eravamo il maggior alleato di Gheddafi, non siamo stati neanche avvertiti. Questa è la sostanza. Nell’ultimo decennio non abbiamo mai toccato palla nel Mediterraneo, per questo annaspiamo per cercare di disegnare una politica estera sulla sponda sud, che in realtà prima avevamo ed era molto solida.

Non abbiamo toccato palla per nostra incapacità, o quantomeno per nostra sudditanza.
Certamente. Quando iniziò l’attacco alla Libia, l’Italia avrebbe dovuto dichiarare la propria neutralità. Come fece anche la Germania, che non è un paese mediterraneo. Invece il presidente della Repubblica Napolitano decise di bombardare Gheddafi, perché faceva comodo schierarsi con l’Alleanza atlantica e con gli Stati Uniti. Ma questo ha comportato una perdita della nostra credibilità sulla sponda sud facilmente immaginabile.

È un po’ lo stesso problema che si sta ripresentando anche con il conflitto in Ucraina: la politica estera ce la fa Bruxelles, quando va bene, ma molto più spesso Washington.
Esatto. Anzi, diciamo che la politica estera europea è stata oscurata da quella della Nato. L’Unione europea non ha preso alcuna decisione strategica in questi anni, mancando fra l’altro di una politica di difesa comune. Con le conseguenze che stiamo già misurando, perché l’asse europeo si sta spostando sempre più verso i Paesi di Visegrad. Per questo la politica del Mediterraneo è fondamentale: anche per bilanciare gli equilibri dell’Europa in spostamento verso est.

Ne paghiamo direttamente il prezzo, perché gli interessi degli Stati Uniti, che non hanno una guerra sul proprio territorio, non sono gli stessi dell’Europa.
In un anno l’Europa si è resa indipendente dal gas e dal petrolio russo, ma ha anche sancito la futura marginalità della Russia. De Gaulle parlava di un’Europa che va dall’Atlantico agli Urali: oggi questa non c’è più, e non ci sarà più per decenni.

Eppure queste questioni non trovano sufficiente spazio nel racconto del conflitto. Cosa pensa del modo in cui la stampa tratta le vicende che stiamo vivendo?
Il problema non riguarda solo la guerra in Ucraina, ma la rivolta delle donne in Iran, il Sudan, l’Egitto… In questi luoghi di crisi, anche vicini a noi, l’informazione dovrebbe giocare un ruolo fondamentale. Invece non ci sono sul campo organi di stampa che possano agire in modo indipendente. Pur vivendo una moltiplicazione dei media, siamo ancora più disinformati di trent’anni fa. Le faccio un esempio?

Prego.
Quali sono le reali perdite degli eserciti ucraino e russo? Non lo sappiamo. Le pare possibile che, in una guerra combattuta tutto sommato dentro all’Europa, non ne abbiamo un conto, neanche con un’accettabile approssimazione? Neppure di quelle degli ucraini, cui noi forniamo le armi? Dovremmo interessarcene.

Come mai succede questo?
È paradossale, perché dovremmo avere montagne di informazioni. In realtà ogni volta in cui arriva una notizia, guardiamo le immagini, ascoltiamo i servizi e subito ci chiediamo: ma sarà vero? Chi ha fatto saltare il North Stream? Chi ha lanciato il drone? Chi ha fatto esplodere il ponte di Kerch? Boh.

Spesso e volentieri, a posteriori, si scopre che quello che ci avevano raccontato non è vero.
Lo veniamo a scoprire a scoppio ritardato, oppure dopo decenni, quando la verità sarà ormai inutile, se non per gli storici. Oggi viviamo di una verità del momento che è assai labile, incerta e piena di disinformazione.

Questo fatto ha risvolti molto gravi, perché se non conosciamo la verità dei fatti, come possiamo pensare di aprire una trattativa imparziale per la pacificazione?
Innanzitutto, a nostra conoscenza, in questo momento non esiste alcun tipo di mediazione diplomatica. Siamo di fronte a una guerra di logoramento, rispetto alla quale disponiamo anche di dati scarsi sulle forze in campo, e non sappiamo se finirà o meno né vediamo all’orizzonte prospettive di negoziati. Entrambi i belligeranti sperano in una vittoria totale. Nel momento in cui cominceranno a darsi obiettivi strategici più realizzabili, rispetto alle dichiarazioni retoriche fatte da Mosca e da Kiev, allora forse potremo sperare nell’avvio di una trattativa.

1 Commento

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  1. Avatar

    Luca

    22 Maggio 2023 at 21:09

    tutto vero !!!

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