Seguici su

Opinioni

Angelo Lucarella: «Così trasformano la democrazia in oligarchia occulta»

Dal taglio dei parlamentari al populismo dell’antipolitica: nel libro «DemOligarchisc» l’avvocato Lucarella mette in guardia dai rischi. L’intervista al DiariodelWeb.it

Fabrizio Corgnati

Pubblicato

il

L'emiciclo del parlamento italiano (© Fotogramma)

Era stata venduta dai suoi ideatori del Movimento 5 stelle come la riforma che avrebbe ridotto i costi della politica e ridato dignità al parlamento. Invece il taglio dei deputati e dei senatori si è rivelato solo l’ennesimo parto del populismo e dell’antipolitica, che a forza di delegittimare la democrazia rischiano di modificarla geneticamente in un’oligarchia occulta. Questa è la tesi che l’avvocato, docente e saggista Angelo Lucarella esprime nel suo ultimo libro «DemOligarchisc», edito da La Bussola, e che ha raccontato in quest’intervista al DiariodelWeb.it.

Angelo Lucarella, se il Movimento 5 stelle aveva fatto un calcolo politico, pensando di trarre vantaggio dal taglio dei parlamentari, vista la composizione attuale dell’emiciclo verrebbe da dire che si sono sbagliati. È così?
Dipende dai punti di vista. Se l’obiettivo era quello di avere una maggior rappresentanza parlamentare, a conti fatti questa è stata dimezzata, ma gioco forza, visto il momento storico che sta attraversando il Movimento. Se invece consideriamo la nuova leadership di Conte, rispetto a quella di Luigi Di Maio, è chiaro che il M5s ha ottenuto un risultato al di sopra delle aspettative.

Qual è il rischio principale per la democrazia che lei ravvisa in questa riforma?
Uno politico e uno costituzionale, due facce della stessa medaglia. Sul piano politico ha rappresentato una potatura secca del parlamento, senza alcun riequilibrio.

E sul piano costituzionale?
Ne va della rappresentanza numerica dei cittadini. Se prima c’era un rappresentante ogni 50 mila abitanti, oggi ce n’è meno della metà. Per incontrare il proprio parlamentare di riferimento bisogna fare almeno 150-200 km di strada.

In questo senso lei parla di trasformazione in atto della democrazia rappresentativa in oligarchia occulta?
Ma certo. L’intento del Movimento 5 stelle era quello di compensare la riduzione dei parlamentari con nuove formule di partecipazione artificiale degli elettori, affidando le scelte politiche alla rete. La democrazia è un’altra cosa.

Dal punto di vista culturale questa non è stata una mossa isolata ma, spiega lei, si inserisce in una tendenza complessiva di demonizzazione della politica che il M5s non avrà creato, ma ha cavalcato.
È un fil rouge che iniziò con la Lega di Bossi e che poi si è mosso nel solco della seconda repubblica. Il M5s ha sfruttato questo vento populista adottando però il famoso «vaffa», un termine particolarmente adatto a suscitare nella pancia delle persone il rifiuto della politica.

Lei parla addirittura delle paure suscitate nel popolo, nei confronti della politica. Quali sono?
L’esempio chiaro è l’attacco al presidente della Repubblica con il caso dell’impeachment. Quello fu un momento delicato per la storia del nostro Paese, quando si rischiò un cortocircuito istituzionale, tenendo conto che il M5s dettava l’agenda. Sia ben chiaro, questo non è un libro contro i Cinque stelle: parla di come il populismo possa anche vittimizzare una forza politica.

In che senso?
Nel senso che un movimento può anche nascere su buoni propositi. Il problema è che riesca a definire la propria identità nel tempo ed evitare di farsi fagocitare dal populismo, che può governare i processi democratici interni e futuri.

Insomma, non è detto che il M5s fosse partito con questa intenzione, ma è stato travolto dall’onda che lui stesso aveva creato?
Certo. La lotta alle poltrone si può fare in tanti modi, non certo prendendosela con il parlamento o con la Costituzione. A mio modo di vedere, sarebbe bastato sbloccare i listini nella legge elettorale per ridare partecipazione all’elettorato.

La vittoria del centrodestra alle ultime elezioni ha cambiato qualcosa per i destini della politica e della democrazia in Italia? Dopotutto, per la prima volta da molti anni ci ritroviamo un governo direttamente espressione della volontà popolare.
Io confido molto nel fatto che gli elettori decidano sempre sulla base della ragione e del senso. Era così anche per i governi Conte e Draghi: non esistono esecutivi tecnici, sono tutti politici, anche si servono di tecnici. Il governo Draghi era partecipato per tre quarti da espressioni politiche: altro che governo tecnico.

E riguardo al governo Meloni?
Sappiamo benissimo che in Italia abbiamo un sistema di elezione parlamentare, quindi il governo è indirettamente espressione della maggioranza. Ma sicuramente siamo di fronte al ritorno di una pienezza politica legata al rapporto tra governo e parlamento.

Se la soluzione semplicistica del taglio dei parlamentari non è stata efficace, cosa dovrebbe fare la politica per ristabilire il rapporto di fiducia con i cittadini?
Mettiamola così: tre mosse e una provocazione. Primo: ridare dignità all’espressione del voto, cioè riaprire i listini. L’elettore deve sapere chi vota, senza che i soggetti siano indicati dal capo partito. Secondo: disciplinare i partiti, come chiede l’Europa dal 2018. Si eviterebbero fraintendimenti con il movimentismo: quando ci si candida alle elezioni si è un partito. Terzo: ridare dignità ai partiti stessi, con la possibilità di utilizzare fondi pubblici al pari della stampa. Altrimenti si lega la democrazia alle lobby.

E la provocazione?
Ci viene dalla storia. Sotto il doge di Venezia venivano sorteggiati cittadini per andare a comporre il consiglio. Chissà che non si possa pensare a un sorteggio per compensare i 345 parlamentari che sono stati tagliati…

Mi chiedo se si troverà mai un consenso su riforme che farebbero perdere potere ai capi partito.
Lo perderanno comunque, perché gli italiani andranno a votare sempre meno e quindi la politica sarà sempre più delegittimata. Finirà che torneranno a subentrare le ipotesi tecniche.

Insomma, la sua tesi è quella di fare un passo indietro, di tornare agli equilibri costituzionali originari?
Non sono un nostalgico. Cerco di prendere dal passato le esperienze positive, per applicare ciò che è realmente fattibile nel futuro. Siamo di fronte a un cambio radicale della politica italiana.

Come mai dice questo?
Berlusconi è venuto a mancare, quindi il bipolarismo che aveva rappresentato lui è finito. Quello che si trascina dall’ultima tornata elettorale è ancora vivo, ma cosa accadrà alle le prossime elezioni europee, dove si vota con il proporzionale e senza apparentamenti? È come se tornassimo alla prima Repubblica e non mi sembra che al parlamento europeo ci siano problemi di rappresentanza.

La soluzione è il ritorno al proporzionale?
Anche il maggioritario può essere la soluzione, purché ci sia un parlamento che faccia chiarezza rispetto ai fini del nostro sistema democratico. Se pensiamo che la politica sia solo vincere contro l’avversario, non si è capito nulla. Bisogna convincere chi la pensa diversamente, non la propria maggioranza. Altrimenti si creano solo due fan club: quelli di Giorgia Meloni e di Elly Schlein.

Il dialogo e la ricerca di compromesso rappresentano l’arte nobile della politica. Purtroppo viviamo in un periodo storico caratterizzato da una polarizzazione e da una contrapposizione muscolare.
A maggior ragione. Tramite un maggioritario spinto non si afferma la politica dell’alternanza, ma un premierato subdolo, non previsto dalla Costituzione.

Anche se la Meloni dichiara di volerlo introdurre.
Discuterne e cercare i relativi equilibri costituzionali per introdurlo in maniera palese è tutto un altro conto. E questo farebbe gola anche al Pd e al M5s. Si immagini che la forza politica che raggiunge il 40% elegga il presidente del Consiglio e prenda il premio di maggioranza in parlamento. Non saremmo più di fronte a un sistema politico che garantisce le diversità e le minoranze, ma allo stile americano.

L’asso pigliatutto.
Il capo del governo sarebbe anche capo di Stato e durerebbe per quattro anni. Oggi abbiamo invece dei bilanciamenti tra le varie figure, che verrebbero messi in discussione. Se il premier viene eletto direttamente dai cittadini, chi darebbe la fiducia? Potremmo assistere alle stagioni dei continui rimpasti pur di non andare a casa.

Continua a leggere le notizie di DiariodelWeb.it e segui la nostra pagina Facebook

1 Commento

1 Commento

  1. Avatar

    requis

    31 Luglio 2023 at 8:26

    Seconda domanda e risposta: ……….potatura secca del parlamento senza alcun riequilibrio. In che cosa consisterebbe questo riequilibrio ?

Tu cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *