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Opinioni

Demostenes Floros: «L’Europa non ha politica energetica, naviga a vista»

Come cambia il mercato dell’energia in tempo di guerra: il DiariodelWeb.it lo ha chiesto a Demostenes Floros, senior energy economist del Centro Europa ricerche

Fabrizio Corgnati

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La costruzione di un gasdotto (© Fotogramma)

Dalla guerra russo-ucraina a quella israelo-palestinese. I bruschi rivolgimenti geopolitici a cui stiamo assistendo in questo periodo hanno inevitabili ricadute sul mercato globale dell’energia, avendo toccato proprio dei Paesi produttori ed esportatori di gas naturale e di petrolio. Di questi temi si occupa il rapporto «Il grande gioco dell’energia: verso un equilibrio non cooperativo», recentemente pubblicato dal Centro Europa ricerche. Dal quale emergono considerazioni interessanti sia sulle conseguenze che questi cambiamenti macroscopici stanno avendo sull’economia europea, ma anche sulla Cina, che scopriamo inquinare meno di quanto si creda. Il DiariodelWeb.it ha intervistato Demostenes Floros, senior energy economist del Cer.

Demostenes Floros, che cosa significa l’«equilibrio non cooperativo» a cui fa riferimento il titolo?
Significa che gli eventi geopolitici che si sono verificati, in particolare dall’inizio del 2022, con il conflitto russo-ucraino, hanno determinato una serie di rotture rispetto alla precedente situazione del mercato dell’energia. Questo sta provocando una serie di cambiamento, sia per quanto riguarda le forniture petrolifere che gasifere.

Ci fa qualche esempio?
Basti pensare al fatto che, stando agli ultimi dati, l’Unione europea ha rotto quasi del tutto il rapporto d’importazione diretta di petrolio e gas naturale dalla Russia. Dico diretta perché in realtà sappiamo che ci sono importazioni attraverso Paesi terzi, in particolare l’India, che raffina il greggio russo e lo rivende in Europa. Per quanto riguarda il gas, una parte delle importazioni via tubo è stata sostituita dagli Stati Uniti.

Quali sono le conseguenze di questi cambiamenti globali?
Ovviamente essi hanno un costo, sia per i produttori ma soprattutto per i consumatori. Le conseguenze le vediamo nelle bollette energetiche, che pure differiscono da Paese a Paese.

Qual è lo scenario energetico che si prospetta per noi europei?
Particolarmente difficile, direi che navighiamo a vista. In primo luogo non abbiamo una politica energetica comune: ogni Paese ha una propria agenda e propri interessi nazionali specifici, anche contraddittori tra di loro. Ricordo che la dipendenza energetica della Ue è sopra il 60%. Gli ultimi sviluppi in Medio Oriente, uno dei nostri principali fornitori di petrolio, rendono la situazione ulteriormente delicata.

Purtroppo non è una novità, in quell’area del mondo.
Ma negli scorsi decenni alle loro crisi cicliche si era affiancata una presenza affidabile, continua e costante dell’Urss prima e della Russia poi. Oggi questo aspetto è completamente saltato, e ci pone in ulteriore difficoltà.

Possiamo supplire, almeno in parte, con le energie rinnovabili?
A maggio 2022 è stata lanciata l’iniziativa Repower Eu, da circa 300 miliardi, per riprendere il progetto di sostenibilità ambientale. Eppure, a un anno di distanza, osserviamo che è aumentato il consumo delle fonti più climalteranti, a partire dal carbone. Anche le rinnovabili sono leggermente cresciute, ma siamo appena al 20%. Cioè sempre più distanti dagli obiettivi fissati per il 2030, saliti dal 32 al 42%. Oltretutto è venuto meno il ruolo del gas naturale come fonte ponte per la transizione energetica: questo pone grossi dubbi sulla reale fattibilità di questo piano nei tempi e nei modi indicati.

Ma nel frattempo i consumi di gas naturale non sono calati?
Sì, e non solo per via dell’autunno eccezionalmente caldo, ma anche ad altri fattori. Primo, il calo della domanda di gas naturale liquefatto da parte della Cina, per la prima volta negli ultimi vent’anni. Questo ha ricadute geopolitiche non indifferenti, anche rispetto alla guerra. Secondo, in Unione europea, una calo a doppia cifra dell’attività industriale, soprattutto di Germania e Italia. Le conseguenze sulla produzione le vediamo in questo momento.

Per questo motivo i costi del gas sono diminuiti?
Esatto. L’apparente equilibrio del mercato elettrico è frutto soprattutto del crollo della domanda. Siamo entrati in una nuova realtà, in cui i prezzi del petrolio e del gas non saranno più quelli precedenti al 2022, che erano mediamente intorno a 19,4 euro al MWh. I prezzi attuali sono molto più bassi dell’anno scorso, ma comunque tra le due e le tre volte superiori al decennio trascorso. Questa è la nuova normalità a cui rischiamo di doverci abituare, e l’Europa ne paga il prezzo maggiore. Non sono particolarmente ottimista.

In Occidente sosteniamo che la Cina sia il Paese che inquina di più. Ma, nel vostro rapporto, sottolineate come la produzione sia rivolta in buona parte a soddisfare i nostri consumi, dunque anche noi occidentali abbiamo una responsabilità.
Questo punto ci ha attirato una serie di critiche, anche da parte di quotidiani che dovrebbero approfondire prima di lanciarsi in analisi. Ma noi non abbiamo inventato nulla. Già un ex membro del cda Eni, il professor Alberto Clò, aveva posto il tema del calcolo delle emissioni. Una cosa è calcolarle sulla produzione, come sta avvenendo, un’altra sui consumi. Negli ultimi 25-30 anni la manifattura mondiale si è spostata verso l’Asia, quindi i Paesi orientali inquinano di più e nessuno lo nega, ma anche per produrre una quantità di beni che noi abbiamo delocalizzato e che ritornano a casa nostra. Questa è una considerazione di buonsenso, non ideologico.

Se calcolassimo le emissioni in base ai consumi, come cambierebbero i dati?
Per qualche Paese europeo sarebbero completamente diversi. Oggi si stima che il Regno Unito abbia diminuito le emissioni del 15%, tra il 1990 e il 2005, ma se guardiamo ai consumi otterremmo una variazione di segno opposto: +15%. E poi mi pare doveroso che le emissioni vengano calcolate pro capite, non a livello di Paese: chi ha un miliardo e 400 milioni di abitanti è naturale che inquini di più.

Dobbiamo assumere un punto di vista più oggettivo come questo, altrimenti lo scontro con la Cina continuerà.
E non sappiamo dove ci porterà. Sulle materie prime di base per la transizione energetica potrebbero metterci in grande difficoltà. Bisogna cercare un continuo, per quanto difficile, dialogo. Oltretutto la Cina si è presa degli impegni: aveva un paniere energetico con molto carbone ma, nei prossimi anni, sosterrà dei costi per renderlo molto più rinnovabile. E non dobbiamo dimenticare che lei inquina da 35 anni, noi da tre secoli.

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