Opinioni
Emanuele Franz: «Difendere la propria identità non significa distruggere le altre»
Il filosofo e saggista Emanuele Franz presenta al DiariodelWeb.it il suo ultimo libro «Dialoghi sull’identità», nato dagli incontri con i protagonisti della cultura mondiale
«Chi siamo?». Non è solo una delle grandi domande che l’uomo si pone da sempre, e che è al centro della speculazione filosofica fin dalla notte dei tempi. Oggi è anche un tema al centro dello scontro politico e geopolitico: tra chi difende strenuamente la propria piccola patria, anche a costo di chiudersi al resto del mondo, e chi invece vuole appiattire tutte le storie in un pianeta globalizzato. Di questo argomento tratta l’ultimo libro del filosofo e saggista Emanuele Franz: un testo in cui a parlare non è tanto lui, quanto un gruppo di protagonisti della cultura italiana e mondiale che ha incontrato e intervistato nel corso degli anni, riunendoli in un’ideale tavola rotonda. Il titolo, eloquente, è «Dialoghi sull’identità», edito da Audax.
Emanuele Franz, come nasce l’idea di questo progetto?
La domanda sull’identità accompagna da sempre le mie indagini di filosofo viaggiatore.
In che senso, viaggiatore?
Nel senso che intendo la filosofia come movimento e scoperta e, nei miei viaggi nel corso degli anni, ho spesso incontrato persone sagge a cui porre questa domanda. Finché ho deciso di raccogliere le risposte più significative.
Al centro di questo libro, dunque, sta il concetto di incontro.
Credo che la filosofia sia contatto umano, stretta di mano, sguardo negli occhi. I due terzi degli intervistati li ho incontrati personalmente, dove non sono riuscito per vari motivi li ho sentiti al telefono. Le interviste sono diciannove, condotte a personalità di otto nazionalità differenti.
Ci fa qualche esempio?
Sull’identità dei popoli a rischio e sul senso di appartenenza, ho raccolto il punto di vista del monaco tibetano in esilio in Nepal, Urgyen Norbu Rimpoche. Grazie a questa intervista mi ha scritto una lettera firmata di suo pugno anche Sua Santità il Dalai Lama, riportata integralmente, dove si parla non solo del popolo del Tibet ma soprattutto del rapporto tra fede e scienza, uno dei temi che attraversano questa ricerca.
Chi ha ascoltato su questo argomento così delicato?
Intervengono diversi scienziati, da Antonino Zichichi a Piergiorgio Odifreddi, con visioni molto differenti. A Odifreddi, in particolare, spesso entrato in polemica con le femministe, ho chiesto dell’identità di genere, ricevendo una risposta inaspettata: con determinazione ha mantenuto la sua posizione, secondo cui i cromosomi parlano chiaro, il resto è cultura.
C’è qualche altro incontro che le è rimasto particolarmente impresso?
Uno dei più commoventi è quello con uno degli ultimi rappresentanti inuit, Hivshu Robert E. Peary II, che combatte la battaglia per la sopravvivenza del suo popolo. Mi ha raccontato delle basi militari americane, che hanno spostato in massa con la forza gli inuit, facendo loro perdere le proprie tradizioni e spingendone molti al suicidio.
Dopo tutte queste ricerche, che idea si è fatto sul significato di identità, oggi?
Per alcuni questa parola suscita sospetto, perché è considerata pericolosa, quasi la base per una difesa aggressiva. Questa interpretazione è sbagliata: il senso di appartenenza non implica la distruzione di ciò che non mi appartiene. Le diverse identità contribuiscono a creare un tessuto organico. Ma esiste anche il rischio opposto.
Cioè?
Le posizioni troppo moderate tendono ad annebbiare e confondere tutto, fino a far scomparire le differenze. La risposta, secondo me, sta nel fatto che le discipline, i popoli e le tradizioni hanno un senso proprio, ma solo se stanno insieme agli altri. Se ci priviamo dell’altro, ci priviamo anche di noi stessi.
I due estremi di chi vuole conservare la propria identità come un totem intoccabile, ma anche di chi la rinnega per diluirsi in un tutto indistinto, sono altrettanto discutibili.
Esattamente. Sembrerà fuori luogo, ma questo rapporto tra dentro e fuori, fede e scienza, intuito e tecnica entra in gioco ad esempio nell’intervista a Reinhold Messner. Cosa prova un uomo da solo, perso a ottomila metri? Ma ho sentito anche il parere di un artista come Angelo Branduardi, sempre sul rapporto tra l’aspetto creativo e la preparazione razionale.
Ognuno di noi ha una storia diversa, ma tutti contribuiamo alla ricchezza dell’umanità; proprio come, nell’organismo umano, ogni cellula svolge la propria funzione ma tutte collaborano insieme.
E lo stesso libro, frutto di molti anni di ricerche, nella sua organicità riesce, secondo me, a mettere insieme i punti di vista di personalità estremamente variegate: dal tanto discusso Aleksandr Dugin, ideologo di Putin, a Noam Chomsky, che sta agli antipodi anche geograficamente. Vado fiero di aver messo insieme questo caleidoscopio di luci che, messe insieme, diventano un arcobaleno. Proprio oggi che sembra sempre più difficile mettere attorno a un tavolo persone che la pensano così diversamente.
Alla fine, è l’unico antidoto alle guerre: conoscere la nostra identità, ma dialogare con le altre.
Esatto. Spero che sia un invito a continuare su questa strada.
Continua a leggere le notizie di DiariodelWeb.it e segui la nostra pagina Facebook