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Emanuele Franz: «Per fermare le guerre, riscopriamo il codice comune a tutte le religioni»

Emanuele Franz, recentemente vittima di un grave episodio sui social, dove un utente anonimo gli ha augurato la morte, racconta nel suo ultimo libro «L’acqua della vita» il viaggio alla ricerca delle origini del sacro

Fabrizio Corgnati

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La bandiera della Palestina (© Fotogramma)

«L’acqua della vita» è l’ultimo, in ordine di tempo, dei libri del filosofo e storico delle religioni Emanuele Franz: l’ennesima delle esperienze che ha raccontato dopo averla vissuta in prima persona, mettendo in pratica la sua concezione di filosofia come viaggio, non solo mentale ma anche fisico. Stavolta il viaggio lo ha portato in Medio Oriente, in pellegrinaggio dall’Anatolia fino al fiume Eufrate, per riscoprire i luoghi dove è sorta la storia delle nostre religioni e dove oggi gli uomini, tragicamente, continuano a combattere e a scontrarsi per queste stesse ragioni. Il DiariodelWeb.it lo ha incontrato, tra l’altro pochi giorni dopo che è stato vittima di un brutto episodio sul web.

Emanuele Franz, dobbiamo cominciare questa chiacchierata dal grave messaggio che abbiamo letto sui social e che si riferiva a lei. Cosa è successo?
Alcuni giorni fa l’account Facebook con lo pseudonimo di “Max Stirner” si è pubblicamente rammaricato del fatto che io non fossi morto. L’autore del post si riferisce alle mie iniziative come conferenziere, nell’ambito delle quali ho invitato Noam Chomsky e il Dalai Lama a un dibattito sulla fede auspicando che io possa morire.

Ha capito chi si nasconde dietro a questo pseudonimo?
Leggendo alcuni articoli su di lui sembrerebbe un attivista di sinistra. Inutile dire che ora mi aspetto pubbliche prese di distanza e disapprovazioni. Io ho il diritto di esistere, pensare e manifestare il mio pensiero senza subire pressioni e macabri auguri del genere che, cosa ancor più pericolosa, possono diventare un invito a ledere la mia incolumità.

Passiamo a temi decisamente meno squallidi. Da dove nasce il suo nuovo libro?
Da una traversata dell’Anatolia, al confine con la Siria: ho percorso 1076 km in solitaria, con mezzi di fortuna, toccando luoghi molto importanti per i fondamenti della fede e del sacro.

Quali?
Ad esempio Tarso, città natale di San Paolo. E poi Antiochia, dove nacque l’appellativo di «cristiani». L’antica Edessa, oggi Sanliurfa, con i suoi siti archeologici di Gobekli Tepe e Karahan Tepe. Per spingermi fino a Mardin, a mille metri di altitudine, dover ancora si celebra la liturgia in aramaico antico.

Che scenario ha trovato?
Uno scenario devastato. Sotto il profilo geopolitico è al confine con zone di guerra, e queste comunità della chiesa siriana ortodossa sopravvivono in un ambiente ostile, perché i cristiani sono stati massacrati e uccisi. Un anno fa ha colpito anche un grave terremoto, provocando sei milioni di sfollati. Gran parte del territorio è stato raso al suolo, ma la grotta originaria di Pietro e Paolo è ancora lì, perché è scavata nella montagna.

E in questo viaggio che cosa ha scoperto?
Il filo conduttore che mi sono dato per la riflessione è quello dell’acqua. Per molti il giardino dell’Eden è un’allegoria, simbolo di uno stato di vicinanza alla perfezione paradisiaca. Secondo le mie ricerche, invece, ci può essere un fondamento di verità dietro alla sorgente della vita eterna: un’acqua che avesse la proprietà di dare longevità, di ricostituire i tessuti.

Ha trovato qualche riscontro diretto?
In effetti ho identificato più di una sorgente che i locali venerano come sacra, perché vi si sono svolte vicende bibliche o mitologiche. Uno di questi pozzi l’ho effettivamente sperimentato e, dopo averne bevuto l’acqua, devo ammettere di essermi sentito più forte.

L’acqua è una risorsa sulla quale solitamente non ci soffermiamo abbastanza.
La diamo per scontata, invece è capace di lavare, purificare, battezzare. Dà origine alla vita, invece che negli ultimi quattro anni era stata considerata portatrice di morte, veicolo di contagio: mi riferisco alle famigerate goccioline ma persino alle acquasantiere, eliminate durante la pandemia.

Quindi l’Eden era un luogo storicamente esistito?
Anche altri studiosi hanno cercato di ubicarlo. Il significato del termine Eden è «a Oriente», senza indicazioni più specifiche. Ma c’è chi ha ritenuto che coincidesse con l’Anatolia: in effetti anche questo nome significa «Oriente», «Levante», «dove sorge il sole».

Del resto, i luoghi del vicino Oriente hanno una grande concentrazione di sacro.
Pensiamo alla Siria, all’Armenia, al Kosovo, ma anche a Israele. Uno spazio non è solo un cumulo di sassi, ma è un tessuto innervato, un’entità vivente e psichica, ha uno spirito. Non a caso, purtroppo, le guerre si scatenano spesso proprio in queste zone.

Dal suo punto di vista ha un senso ancora, nel ventunesimo secolo, fare la guerra per motivi religiosi? Non sarebbe il momento di riscoprire una visione meno divisiva e più inclusiva della religione?
Sì, purché avvenga nel rispetto delle differenze di tradizione. A mio parere esiste un codice sottostante. A proposito di acqua, è un simbolo che compare in tutte le diverse tradizioni: nel mito greco, nel Cristianesimo, nell’Islam… Ogni cultura, però, lo interpreta a modo suo, e proprio dallo scontro tra queste civiltà nasce la guerra. Se si fosse capaci di superare l’aspetto istituzionale della religione, e del potere che esso conferisce, per tornare a quello mistico, si potrebbe rinvenire un’unità.

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