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Opinioni

Emanuele Franz: «Perché il transumanesimo è un pericolo (e non è un’idea nuova)»

Lo scrittore e filosofo Emanuele Franz racconta al DiariodelWeb.it la ricerca confluita nel suo ultimo libro «Le origini del transumanesimo»

Fabrizio Corgnati

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Emanuele Franz presenta il suo ultimo libro «Le origini del transumanesimo»

Una delle parole chiave del presente e del futuro prossimo è senza dubbio transumanesimo. Ovvero, quella corrente socioculturale che punta a superare, attraverso la fusione con la tecnologia, gli attuali limiti fisici dell’uomo, a partire dall’invecchiamento e dalla morte. Insomma, a farci diventare tutti dei cyborg, per dirla in parole povere. Un’idea che a prima vista sembra frutto degli ultimissimi ritrovati della scienza, ma che a ben guardare invece è vecchia di millenni. Lo teorizza lo scrittore e filosofo Emanuele Franz nel suo ultimo libro «Le origini del transumanesimo. Da Zoroastro a Davos», edito da Audax Editrice. Una ricerca che ha presentato ai microfoni del DiariodelWeb.it.

Emanuele Franz, come mai ha deciso di dedicarsi proprio al tema del transumanesimo?
La mia riflessione è maturata in questi anni di lockdown, di digitalizzazione, di educazione scolastica multimediale, di lavoro e rapporti umani forzatamente confinati a una webcam. Ho notato come si calcasse sempre di più la mano sui linguaggi virtuali e l’ho trovata una stonatura.

Dove l’ha condotta questa ricerca?
Cito un esempio su tutti: un convegno che è tuttora online sul sito di Repubblica. Nel quale l’amministratore delegato di uno dei colossi della tecnologia, un pioniere del metaverso, affermava che con l’emergenza sanitaria si è avuta un’accelerazione della digitalizzazione della vita quotidiana. «In due anni», diceva, «si è ottenuto quello che altrimenti si sarebbe ottenuto in sette». Queste parole mi hanno colpito: suonano quasi come una confessione.

Come a dire, non si tratta solo di scelte dettate dalla necessità, ma c’è un preciso disegno.
Questo è ciò che traspare dai finanziamenti, dai bandi di concorso, dalle direttive ministeriali. Dal famoso «piano Colao», che in piena pandemia fu stilato dall’ex capo della Vodafone, quando semmai ci saremmo aspettati di vedere all’opera medici o psicologi. Più volte abbiamo visto che c’è un indirizzo programmatico: si spinge verso la scorporeizzazione delle comunicazioni e delle relazioni. Qualcuno dirà che è solo l’andamento naturale dei tempi, ma per me di naturale non c’è niente.

Lei fa risalire questa scuola di pensiero molto indietro nel tempo, a quelle correnti filosofiche che hanno sempre visto con sospetto se non con disprezzo la dimensione corporea dell’uomo.
Esattamente. Ammetto che la mia sia una tesi audace. Di transumanesimo si parla da qualche decenni, dunque perché andare a pescare nelle lontane e sepolte filosofie persiane di tremila anni fa, che interessano solo gli studiosi? Il motivo è che c’è un’assonanza.

Quale?
Farci sentire prigionieri di un corpo sbagliato così com’è. Tutti i prefissi «trans» ai quali siamo stati abituati, da transumano a transessuale, indicano una volontà di «andare oltre» un presunto disagio. Non ci fanno sentire a nostro agio nel corpo che ci ritroviamo oggi, con la promessa di ulteriori potenzialità. Tutto ciò si riflette in una demarcazione netta, chirurgica, tra ciò che sei e che hai, che è il male, e il bene, da ricercare invece altrove. Ci dicono che, quando vivremo una vita digitale, staremo meglio, più longevi, più in salute.

L’uomo viene considerato imperfetto laddove è invece la macchina a essere infallibile.
Per me questa dichiarazione fu anticipata quasi tremila anni fa dal profeta Zarathustra, secondo cui appunto il male stava proprio nel corpo. Uno dei teorici del transumanesimo, il tristemente noto Harari, nei suoi libri parla con grande ammirazione proprio di queste filosofie manichee. E in Homo Deus cita esplicitamente di un «unico progetto» dell’umanità, la «capacità di reingegnerizzare i nostri corpi». A me, sinceramente, mette i brividi.

Ma quale sarebbe l’obiettivo di questo progetto?
Dal loro punto di vista, tutto ciò è il bene. Il corpo è la fonte di ogni divisione, tra uomini e donne, tra bianchi e di altre etnie, tra ricchi e poveri. Il fine ultimo, invece, l’uguaglianza ormai priva di ogni differenza.

Immagino che ci sia di mezzo anche il controllo, visto che un cervello digitale è molto più facile da riprogrammare di uno umano.
Assolutamente. A proposito di divieto degli assembramenti, il corpo umano è un assembramento, di cellule, di nervi, di tessuti, quindi la sua divisione porta al suo annientamento ma anche all’estinzione di tutte le differenze tra popoli, usi, costumi, identità specifiche. Per chi ha in mano il controllo dei beni di consumo, la diversità è un danno, perché non si può vendere a tutti. La digitalizzazione si riduce anche a un fatto meramente economico.

Un’omologazione che porta alla creazione di un unico mercato globale.
Secondo me c’è un filo rosso che attraversa i millenni. Aborrire il corpo porta non soltanto a pensare che il bene stia altrove, ma anche ad attuare programmi contro la vita biologica: pensiamo all’eutanasia o all’aborto. Questo lo ritroviamo nelle filosofie dei catari medievali, nella violenta pratica dell’endura, che consisteva nel digiuno estremo, somministrato anche ai malati terminali.

Lei è uno studioso ma anche un uomo d’azione. Come possiamo noi esseri umani affrancarci da questo disegno?
Io sono molto ottimista. Penso che sul breve termine la digitalizzazione avrà anche il suo successo, ma che finirà per implodere per grazia del corpo stesso. Così come se si beve un veleno si tende a vomitarlo, già si verificano episodi di nausea dopo molte ore passate con il casco del metaverso in testa.

Io ho avuto modo di provarlo e devo confessare che a me sono bastati cinque minuti per provare nausea…
Ecco, io non ho ancora avuto l’occasione. E poi c’è altro: nello stesso convegno che ho citato, uno dei cervelloni del metaverso sottolineava come un sistema del genere debba essere dotato di proprietà matematiche che ancora non ha, a partire dalla continuità e dalla coerenza interna. Ad esempio, se in un metaverso una persona rompe un vaso, in un altro questo deve continuare a essere rotto. Insomma, un progetto del genere potrebbe implodere su se stesso anche perché è contro natura.

Insomma, la presunzione dell’uomo che si illude di poter creare un nuovo universo si scontra contro l’universo vero, reale?
Mi viene in mente quando, nel 1901, illuminarono Parigi con le prime lampadine. Sembrava che la luce artificiale si stesse sostituendo a quella naturale. Invece, ancora oggi, se per una tempesta solare rimanessimo senza la luce del Sole per due giorni, una grande città come sopravvivrebbe? Una catastrofe naturale ci rende tutti inermi.

Alla fine la natura è sempre più forte.
Io penso di sì. La parentesi umana, su larga scala, è cortissima, rispetto ai tempi della natura.

Mi tolga una curiosità: ma come ha fatto ad avere una prefazione firmata da nientemeno che Nietsche in persona?
Nietsche è noto per aver coniato l’espressione di «superuomo», ampiamente abusata e decontestualizzata a piacimento.

Anche dal regime nazista, tragicamente.
E continua ad essere abusata, soprattutto sul tema del transumanesimo. Si cita Nietsche facendogli un torto. Ecco, passeggiando per Venezia, dove lui visse, mi è parso che lui volesse intervenire direttamente, sfatando qualche equivoco.

A ristabilire la verità.
Esatto. E così, sotto dettatura, mi ha donato una prefazione.

Non è da tutti avere una prefazione così illustre.
In effetti… Poi nel libro c’è anche un’intervista al filosofo Alain De Benoist, lui sì vivo e vegeto, anzi, un osso duro.

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1 Commento

1 Commento

  1. Avatar

    Gaetano

    2 Maggio 2023 at 22:07

    acquisterò il libro … Argomento interessante ma … la mia più sincera curiosità è la prefazione dettata da Nietzsche . Il più grande Filosofo e uomo di tutti i tempi … Ancora oggi non compreso o volutamente distorto . Intanto si pronuncia … Oltre/Uomo e l’Oltre Uomo è solo un ponte passaggio obbligato verso la propria Unità Unicità Totalità e ” Sovranità Integrale ” . Gaetano

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