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Opinioni

Francesco Giubilei: «Immigrazione, in Italia serve il modello australiano»

Al DiariodelWeb.it Francesco Giubilei, presidente di Nazione Futura e della Fondazione Tatarella, parla di migranti, rapporto con la Ue e delle prossime elezioni europee

Fabrizio Corgnati

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Gli sbarchi a Lampedusa (© Fotogramma)

Anche i conservatori si preparano alle elezioni europee del giugno prossimo. Giorgia Meloni in testa, che del gruppo Ecr è leader. Ma sul rapporto tra Roma e Bruxelles pesa anche il tema dell’immigrazione, particolarmente caldo in queste settimane. Anche di questo si parlerà nel fine settimana all’evento Italian Conservatism – The Future of Europe all’hotel Quirinale di Roma. «Una conferenza che abbiamo lanciato per la prima volta lo scorso anno, per raccogliere i conservatori di tutta Europa – racconta al DiariodelWeb.it Francesco Giubilei, presidente di Nazione Futura e della Fondazione Tatarella, che organizzano l’evento insieme alla rivista European Conservative – Chiaramente questa edizione avrà un focus particolare sulle prossime elezioni europee, per creare un percorso di proposte e idee politico-culturali. Parteciperanno diversi ministri italiani, direttori di quotidiani, scrittori, oltre a Balazs Orban, direttore dell’ufficio politico di Viktor Orban, alla moglie di Roger Scruton e a tanti europarlamentari di Fdi e della Lega».

Francesco Giubilei, dove può arrivare lo schieramento conservatore alle prossime elezioni europee?
In queste settimane si discute molto di alleanze, ma questo dibattito ha senso fino a un certo punto. In Europa si vota con il proporzionale, quindi le coalizioni si definiscono dopo il voto, non prima. Parlare senza i numeri chiari è un po’ complicato. Detto questo, c’è uno scenario che si può prefigurare.

Quale?
L’alleanza tra Ppe e Ecr, alla quale stanno lavorando Meloni e Weber. Il vero nodo è che, da soli, questi due schieramenti non hanno i numeri sufficienti per eleggere i commissari. Per cui si aprono due ipotesi. La prima è l’apertura al gruppo Id, quello della Lega: ma il problema è che parte del Ppe non vuole allearsi con Le Pen e con Afd in Germania.

E la seconda ipotesi?
Il gruppo liberale di Renew Europe, all’interno del quale, però, c’è Macron, con cui allearsi comporterebbe una serie di problematiche. Dunque bisogna giocare di incastri. L’unica priorità è che andrà evitata una coalizione come quella attuale, con dentro i socialisti.

Che ruolo può avere in questa trattativa Giorgia Meloni, sia come leader uscente del gruppo Ecr che come capo del centrodestra italiano che rappresenta una sorta di laboratorio dell’alleanza con il Ppe?
Senza dubbio può avere un peso importante, anche come presidente del Consiglio della terza nazione europea. Verosimilmente Fdi avrà il maggior numero di europarlamentari del gruppo, che ad oggi hanno i polacchi del Pis. Quindi l’Italia avrà un ruolo centrale in ottica conservatrice. Bisogna capire se deciderà di aprirsi ad altre alleanze.

A cosa si riferisce?
Mediaticamente il nome che fa più discutere è quello di Orban. Gli ungheresi vorrebbero Fidesz alleato dell’Ecr. Su questo punto l’Italia e Meloni avranno un grande potere decisionale.

A proposito di Europa, come sta gestendo il governo Meloni la questione dell’immigrazione, anche nel rapporto con la Ue?
La strada diplomatica, il tentativo di parlare non a nome dell’Italia ma della Ue, è anche corretta. Il problema è che alle parole di Bruxelles non corrispondono i fatti. A oltre due mesi dal memorandum firmato, ancora non è stato dato un euro al presidente tunisino Saied, a cui erano stati promessi 255 milioni nell’immediato. A quel punto è chiaro che la Tunisia lascia partire i migranti. Mi sembra una presa in giro assurda. Se l’Unione continuerà a fare melina e a non dare risposte serie anche nei prossimi mesi, bisogna trovare un modello alternativo.

Nello specifico, quale alternativa ha in mente?
Lo dico chiaramente: per me ci vorrebbe il modello australiano. Qualche settimana fa ho intervistato Tony Abbott, il primo ministro che nel 2013 lanciò il famoso programma No Way in Australia. Il suo parere è che la strada degli accordi con l’Unione europea non funzionerà.

Invece come si potrebbe applicare la via australiana in Italia?
Si basa su tre cardini. Il primo: una catena di comando lineare, al contrario di quella confusa di oggi, in cui si rimpallano le responsabilità Guardia di finanza, Guardia costiera, Frontex… Il secondo: una funzione comunicativa deterrente in Africa. Tradotto: investire in campagne mediatiche forti che chiariscano che nel nostro Paese o si entra legalmente o si viene respinti.

E il terzo cardine?
L’utilizzo della Marina. Non per sparare ai barchini, ma per salvare i migranti in mare, come prevede il diritto internazionale, e poi per rimandarli indietro, allestendo hotspot nei Paesi nordafricani. Così si può provare realmente a risolvere il problema dell’immigrazione.

Lei ha usato toni duri contro l’Unione europea, accusandola di voler contrastare il governo Meloni.
Indubbiamente. L’interesse è politico: ci si avvicina alle elezioni, la Commissione è a maggioranza socialista, il ministro degli Esteri europeo Borrell è socialista. Del resto, non mi pare una novità.

In che senso?
Nel 2011, con la vendita dei titoli di Stato italiani, da un giorno all’altro si alzò lo spread e Berlusconi cadde. In tutti questi anni, chi sosteneva questa tesi era bollato come complottista. Oggi è lo stesso Sarkozy, nel libro che ha pubblicato, ad ammettere nero su bianco l’accordo orchestrato da lui e dalla Merkel per far cadere il governo Berlusconi.

Anche oggi le istituzioni europee vorrebbero far cadere il governo Meloni?
Non dico questo. Ma, visto l’orientamento politico del nostro governo, Bruxelles preferisce dare una mano ad altri Paesi. Di fronte a questo, non dobbiamo escludere una prova di forza dell’Italia, su un tema così importante.

Importante anche per tutto l’elettorato di Meloni e del centrodestra, sul quale si giocano il consenso.
Assolutamente, è molto sentito. Basta guardare i numeri degli sbarchi, che nel 2023 sono cresciuti molto rispetto agli ultimi due anni. Il problema non si può negare e la priorità è capire come risolverlo. Persino la Spagna socialista ha una gestione dell’immigrazione molto più dura. In passato si erano stretti accordi con Gheddafi, Minniti e Salvini erano riusciti a bloccare gli arrivi. Quindi, evidentemente, la soluzione è complicata ma possibile.

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