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Opinioni

Luca Marini: «Cambiamento climatico? Non ci sono prove che sia causato dall’uomo»

Il professor Luca Marini, curatore del libro «Ecotruffa», spiega al DiariodelWeb.it cosa si nasconde dietro la diffusione della paura del riscaldamento globale

Fabrizio Corgnati

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Militanti ecologisti di Fridays for Future (© Fotogramma)

«Il riscaldamento globale è una frode pseudoscientifica, guidata letteralmente da migliaia di miliardi di dollari». Lo affermava, già nel 2010, il noto e compianto fisico americano Harold Lewis, e anche oggi tanti suoi colleghi sono d’accordo con lui. La comunità scientifica è tutt’altro che unanime su questo tema: anzi, in molti dubitano non tanto sull’esistenza di un cambiamento del clima, quanto sulla sua origine umana. Ormai da oltre un anno un gruppo di docenti universitari si è riunito nell’Osservatorio contro la transizione ecologica ed energetica: tra loro climatologi, chimici, matematici, ingegneri, politologi ed economisti. Dal loro lavoro è nato un libro, intitolato «Ecotruffa. Le mani sul clima» (edito da La Vela), a cura del professor Luca Marini, docente di Diritto internazionale alla Sapienza di Roma e già vicepresidente del Comitato nazionale per la bioetica. Il DiariodelWeb.it lo ha raggiunto.

Professor Luca Marini, il titolo che avete scelto per il libro è, immagino volutamente, di forte impatto. Perché parlate di «ecotruffa»?
Perché non esistono evidenze scientifiche, o comunque non così consolidate, in grado di confermare la causa esatta del cambiamento climatico, né dunque di ricondurle alla sola attività dell’uomo. Dunque costruire su questo presupposto parziale e fazioso dei comportamenti, delle aspettative, delle pretese anche giuridiche, quindi degli obblighi o dei vincoli, mi pare quantomeno controverso.

La truffa, dunque, comincia dalle stesse interpretazioni del fenomeno.
Premetto che, come ho scritto nel libro, io sono un ambientalista di vecchia data, così come sono convinto che l’uomo e la civiltà, dovunque arrivano, provocano l’impoverimento e lo svilimento delle risorse naturali. Detto questo, da giurista e ancor prima da cittadino, non posso tollerare che, nell’incertezza scientifica sulle cause, queste vengano imputate solo a me e non ad altri soggetti.

Ci spieghi meglio.
Io guido un’automobile diesel e non posso pensare che l’inquinamento dipenda dalla mia macchina, quando in Puglia ho visto la centrale di Cerano o l’Ilva di Taranto, che non mi sembrano fiori all’occhiello per quanto riguarda l’impatto ambientale.

Si vuole buttare la colpa sui cittadini per assolvere le grandi aziende?
Questa è una visione riduttiva. Secondo me, seguire i soldi funziona fino a un certo punto. Il discorso è molto più articolato. Dal senso di colpa conseguente alla criminalizzazione si vuole ottenere lo spontaneo soggiogamento a quelle misure che, presto o tardi, verranno introdotte, e che saranno giustificate dalla comunità scientifica collusa con chi sta ordendo questo piano. Non stiamo facendo altro che replicare lo schema del green pass.

Insomma, una cittadinanza in ecoansia è ben disposta ad accettare acriticamente ulteriori obblighi e restrizioni.
Ideologia, propaganda, terrore e tecno-scienza: questi sono esattamente gli strumenti tipici del totalitarismo. Nel nostro caso, il primato di certe élite finanziarie transnazionali sulla popolazione mondiale. Una strategia della tensione riassumibile nel famigerato «whatever it takes» pronunciato da un certo galantuomo, che per taluni è stato ed è l’uomo della provvidenza (Mario Draghi, ndr).

Quando parla di misure in arrivo, quali teme?
Ad esempio, non mi meraviglierei se venisse limitata la natalità, magari in base a qualche evidenza scientifica manipolata per dimostrare che il pianeta non è in grado di sostenere più di un certo numero di nascite l’anno. Del resto, se vedo in tv una ragazza che piange in diretta di fronte a un ministro, il quale a sua volta si commuove, perché non potrà fare figli a causa del cambiamento climatico, mi sembra che la strumentalizzazione dell’emotività collettiva sia già evidente.

Qui c’è un ulteriore salto di qualità: non si limita più solo la libertà di agire, ma si incide addirittura sulla sfera dei sentimenti.
La grande truffa pandemica è servita come prova generale per capire quanto gli strumenti restrittivi possono essere sperimentati sulla popolazione. Adesso si sono aperte le gabbie, sono usciti i mostri, quindi le prossime emergenze saranno molto più aggressive. Siamo di fronte a un totalitarismo globale non più solo politico, ma biopolitico: cioè che investe la stessa corporeità, la dimensione antropologica, la nazione di essere umano.

E qual è l’obiettivo finale di questo disegno?
L’obiettivo del potere è in sé il potere. Se miliardi di persone sono sempre più facilmente manipolabili, le finalità si moltiplicano. Per non parlare dell’applicazione delle nuove tecnologie, come la robotica o la biomedicina: se si convincesse una fetta crescente di persone a impiantarsi dei chip, pensi come sarebbe più facile controllarle.

Come facciamo noi cittadini a difenderci?
Il miglior modo per dare partita vinta è non interessarsi dei problemi, farsi da parte e mettere la testa sotto la sabbia. A quel punto il nemico ha già vinto. L’unica soluzione è quella di stare sul pezzo, mantenere uno spirito critico e un’autonomia culturale, cercare di conoscere e «non essere mai d’accordo con nessuno», come diceva Longanesi.

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