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Opinioni

Salvatore Di Bartolo: «Il green deal europeo minaccia la nostra economia e cultura»

Salvatore Di Bartolo, docente di Studi politici e autore del libro «Overgreen», al DiariodelWeb.it: «L’ecologismo è diventato il nuovo marxismo»

Fabrizio Corgnati

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Greta Thunberg (© Fotogramma)

Sono in fase di adozione proprio in questi giorni a Bruxelles le direttive europee del cosiddetto «green deal»: quelle, per intenderci, che a partire dal 2035 proibiranno la vendita di auto nuove a benzina o diesel. Ma le direttive europee non si fermano a intervenire sul mercato delle quattro ruote: anzi, si pongono l’obiettivo di rivoluzionare interi mondi come l’edilizia, l’industria, l’alimentazione. Tutto nel nome dell’ecologismo, un tema ormai diventato squisitamente politico, tanto da mobilitare un’intera generazione, quella dei seguaci di Greta Thunberg.

Ma siamo sicuri che questa rincorsa a proteggere l’ambiente a tutti i costi non rischi di fare più danni di quelli che si propone di evitare? È l’interrogativo che Salvatore Di Bartolo, docente del Dipartimento di Studi politici, costituzionali e tributari della Federiciana Università Popolare, si pone nel suo ultimo libro «Overgreen. L’altra faccia della rivoluzione verde», uscito questa settimana per La Bussola. «Passerò anche per il folle o il guastafeste di turno», sorride ai microfoni del DiariodelWeb.it, «ma mi sono assunto la responsabilità di scrivere anche pagine scomode».

Salvatore Di Bartolo, l’ecologismo è la nuova ideologia dominante della sinistra contemporanea?
Lo cito nel titolo di uno dei capitoli: per me l’ecologismo è il «nuovo marxismo». Il filosofo inglese Scruton ne ha messo in luce le analogie: «Entrambe presentano una classe di vittime, un’avanguardia illuminata che combatte per loro, potenti filistei che li sfruttano e infinite opportunità di esprimere risentimento».

Ce lo spieghi.
Da una parte c’è il nemico da abbattere a tutti i costi, il male assoluto, cioè il capitalismo. Dall’altra le vittime, che un tempo erano gli operai, oggi i giovani. Quelli che si ritrovano, loro malgrado, un futuro distrutto dall’intervento dell’uomo, che ha pregiudicato la sostenibilità del pianeta. E infine ci sono i paladini dell’ecologismo, che ogni giorno si prodigano per salvare la Terra. Insomma, il copione è sempre lo stesso: il marxismo non è mai morto, anzi è risorto come l’araba fenice sotto altre spoglie, a seconda dei periodi.

Il filo conduttore è evidente.
Ma io non ci vedo solo i tratti caratteristici del socialismo marxista, bensì anche del populismo. Pensiamo al culto del leader, la famosa Greta, che sembra infallibile, quasi divina: ci dice che dobbiamo fare delle rinunce, pentirci per espiare le nostre colpe, le sue parole sono vangelo. Chi sposa le sue cause è amico dell’ambiente, chi le va contro è necessariamente il nemico, contro cui puntare il dito.

Mettiamo in chiaro una cosa: lei non è affatto contrario a preservare l’ambiente. Semmai è il modo in cui viene affrontato questo tema che lascia a desiderare.
Ci mancherebbe altro. Sarei un pazzo se sostenessi che l’ecosistema non va preservato, che dobbiamo inquinare o fare il male del pianeta. Il problema è il modo in cui si cerca di farlo. Bisogna trovare un punto d’incontro tra la salvaguardia dell’ambiente e quella dei posti di lavoro, tanto per dirne una. Invece le direttive che si stanno discutendo proprio in queste settimane al parlamento europeo rischiano di cagionare un danno irreversibile e pesantissimo al nostro tessuto economico-sociale.

Quali sono i rischi nascosti dietro a queste direttive, in particolare?
Partiamo dal settore automotive: un fiore all’occhiello dell’industria non solo italiana, ma anche europea. Non mi riferisco solo al mercato dell’auto, ma anche a quello delle componenti, di cui l’Italia è uno dei principali produttori. Con lo stop ai motori a combustione, verrebbero meno e andremmo incontro alla perdita di quasi mezzo milione di posti di lavoro in tutta Europa. Come pensiamo di ricollocare tutte queste persone? C’è un piano o vogliamo solo chiudere i battenti nel 2035 senza preoccuparcene? E non è l’unico problema.

Vada avanti.
Ci sono anche rischi geopolitici. Per produrre le batterie delle macchine elettriche servono minerali come litio, manganese, nichel, che si trovano nei Paesi dell’Africa e del Sudamerica, dove tra l’altro per l’estrazione viene spesso usata manodopera minorile. Gli approvvigionamenti di queste materie prime sono soprattutto in mano alla Cina. Insomma, rischiamo di diventare a tutti gli effetti dipendenti da potenze straniere, non esattamente nostre alleate. Oltretutto non abbiamo ancora la tecnologia necessaria per smaltirli.

Ma almeno siamo certi che le auto elettriche inquinino meno di quelle con il vecchio motore a scoppio?
Bella domanda. L’estrazione dei minerali dal sottosuolo produce un notevole inquinamento. È vero che i giacimenti sono in Africa, quindi forse qualcuno pensa egoisticamente che non ci deve interessare se si inquinano le falde acquifere del Congo… E finora abbiamo parlato solo del settore dell’automotive.

Quali altri settori presentano criticità del genere?
C’è la normativa che ci impone di raggiungere la neutralità energetica degli edifici entro il 2033 e la neutralità climatica assoluta entro il 2035. In Italia si stima che andrebbe ristrutturato circa il 75% del patrimonio immobiliare in pochissimi anni, per un costo dai 35 ai 60 mila euro a famiglia. E queste spese su chi ricadrebbero? Senza contare che il nostro territorio è ricco di immobili di pregio o storici, che si rischia di deturpare, con ricadute negative ad esempio sul turismo. E non è ancora finita.

Ci dica.
C’è il settore del made in Italy. Le leggi che dovrebbero normare il cibo da mettere in commercio nell’Unione europea rischiano di farci un danno non indifferente. Mi riferisco al sistema di etichettatura francese Nutriscore, secondo il quale, tanto per fare un esempio, le patatine fritte sono un cibo più sano rispetto all’olio extravergine d’oliva.

Come è possibile?
Perché utilizzano dei criteri un po’ cervellotici secondo cui cento grammi di patatine hanno meno calorie di cento grammi di olio. Ma solo un folle mangerebbe cento grammi di olio a crudo… Agli ultimi livelli del Nutriscore ci sono anche altre eccellenze come i formaggi o gli insaccati. Per non parlare delle etichette, simili a quelle delle sigarette, che sono già state apposte sui vini in Irlanda, dove però non hanno una tradizione vitivinicola, a differenza nostra. Il vino ci porta un fatturato di 14 miliardi di euro all’anno, la maggior parte dei quali in esportazioni. Stimolando l’emotività del consumatore, il consumo diminuirebbe, come testimonia un recente sondaggio di Coldiretti.

Dunque non c’è solo un tema economico, ma anche d’identità, di cultura.
Esatto. Si immagina un italiano, tra qualche anno, che invece di bere un bicchiere di vino e mangiarsi un bel pezzo di grana o una fetta di crudo di Parma si mette a nutrirsi di grilli, locuste, cavallette o carne sintetica prodotta in laboratorio? Il nostro Paese è apprezzato in tutto il mondo proprio per la sua cucina, la sua capacità di vendere i prodotti agroalimentari. Ci vogliono uniformare a tutti i costi a questa ideologia green senza tenere conto delle peculiarità di ogni popolo.

Ha deciso di dedicare questo libro a Silvio Berlusconi. Come mai?
Inizialmente la dedica doveva essere un’altra. Ma il giorno stesso in cui ho ultimato il libro, tra l’altro quello del mio compleanno, ho ricevuto la notizia della sua morte. Mi è sembrato quasi un segnale. Qualcuno mi ha criticato, ma non me ne sono pentito. Personalmente ho partecipato anche ai funerali a Milano e ho visto un popolo che gli ha tributato affetto e stima.

Qual è la sua opinione sulla figura del Cavaliere?
Comunque la si pensi, è stato un personaggio unico, pur con tutte le sue contraddizioni e debolezze come qualunque uomo. Al di là degli errori compiuti, è stato il politico che ha più rappresentato l’Italia all’estero nella seconda Repubblica, il presidente più vincente nella storia del calcio, un grande costruttore, editore e imprenditore che ha dato lavoro a migliaia di persone. Nel bene e nel male, ha cambiato il modo di fare politica, televisione, editoria. Piaccia o meno, ha lasciato un’impronta indelebile nella nostra cultura e nel nostro tessuto socio-economico.

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