Seguici su

Opinioni

Simona Mangiante: «Perché gli americani rieleggeranno Donald Trump»

Al DiariodelWeb.it Simona Mangiante, avvocata, giornalista e imprenditrice italiana che vive negli Usa, racconta il clima in politica interna a nove mesi dalle elezioni presidenziali

Fabrizio Corgnati

Pubblicato

il

Donald Trump
Il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali Usa 2024, Donald Trump (© Fotogramma)

Ormai è ufficiale: Joe Biden e Donald Trump saranno i due candidati alle elezioni presidenziali 2024 negli Stati Uniti. Con le vittorie in Georgia, in Mississippi e nello Stato di Washington di due settimane fa, sia il democratico che il repubblicano hanno raggiunto la matematica certezza della nomina. Ora si apre la fase calda della lunga campagna elettorale, che promette fuochi d’artificio non solo sul fronte politico, ma anche su quello mediatico e giudiziario.

Sono quattro, infatti, i processi penali attualmente pendenti contro Trump: il primo di questi in ordine di tempo, per l’accusa di aver comprato il silenzio dell’attrice porno Stormy Daniels dopo un rapporto sessuale, è stato nel frattempo rinviato a fine aprile da un giudice di New York. Per capire esattamente che aria tira al di là dell’Atlantico, il DiariodelWeb.it ha intervistato Simona Mangiante, avvocata, già consulente legale dell’ufficio di presidenza dell’Europarlamento, ma anche giornalista d’inchiesta e imprenditrice italiana che da anni vive in California.

Simona Mangiante, questa riedizione dello scontro Biden-Trump a quattro anni di distanza l’ha sorpresa?
Personalmente mi aspettavo che i due contendenti alla Casa bianca sarebbero stati loro. In molti mi davano della matta: pensavano che Biden non fosse nelle condizioni psicofisiche di affrontare una nuova campagna elettorale, figuriamoci un nuovo mandato, e che Trump fosse impedito dai suoi guai giudiziari.

Sembravano obiezioni fondate, in effetti.
Il motivo è che l’apparato democratico teme proprio il rischio della rivalsa di Trump. Dunque, fino a qualche mese fa ha cercato di delegittimarlo con l’accanimento giudiziario, fatto di indagini fantoccio. In realtà, dopo l’ampia smentita della bufala del Russiagate, tutti questi procedimenti hanno avuto il solo effetto di renderlo ancora più popolare di prima.

Come mai?
Perché gli americani nutrono una totale sfiducia nei confronti delle istituzioni che sarebbero deputate a garantire la legalità: agenti federali, Fbi, dipartimento di giustizia, district attorney, prosecutor… Invece di proteggere i cittadini, si occupano di fabbricare crimini contro personaggi politicamente scomodi.

Usa il plurale perché questo fenomeno non riguarda solo Trump?
Assolutamente, lo stesso trattamento lo hanno subìto tutti i suoi consiglieri e il suo entourage. Lei parla con una persona che, solo perché sostiene Trump, è stata accusata di essere una spia russa, nonostante io sia di Caserta. Mio marito George Papadopoulos ha trascorso dodici giorni in galera perché era il consigliere in politica estera dell’ex presidente.

Ci fa un esempio di queste accuse?
Jean Carroll è emersa dopo trent’anni accusando di violenza sessuale Trump, che nega persino di averla conosciuta. Sostiene, senza portare prove, di averlo incontrato in un centro commerciale e di essere stata violentata. E si è vista riconoscere oltre 83 milioni di dollari di risarcimento dalla corte. Assurdo.

Fa pensare che queste considerazioni sullo stato della giustizia americana vengano proprio da un avvocato come lei.
Io vengo dall’Italia ed ero abituata al nostro sistema molto garantista. Mi ha assolutamente scioccata la superficialità di questi processi, più mediatici che giudiziari. Anche il fatto che ad avere l’ultima parola sia una giuria popolare, cioè persone comuni, è la proiezione di questa manipolazione, manca la garanzia di valutare le prove e attenersi a un procedimento logico, a un contraddittorio per far emergere la verità incontrovertibile dei fatti. A cosa serve studiare legge se dobbiamo affidare le sorti della nostra libertà a persone comuni?

A proposito di guai giudiziari, però, anche la famiglia di Biden non ne è rimasta esente.
A dicembre, a Minsk, ho realizzato un’intervista all’ex deputato ucraino Andrey Derkach, uno dei testimoni chiave che denuncia la corruzione di Biden. Non solo, sto preparando un nuovo documentario d’inchiesta che parla di questi temi, nonché della manipolazione dell’apparato giudiziario americano a fini elettorali. Non sono millanterie, ma fatti supportati da prove.

Quali notizie sono emerse dalla sua inchiesta?
Sappiamo delle implicazioni del figlio di Biden, Hunter, con la società energetica Burisma, grazie alla quale la sua famiglia si è arricchita già negli anni 2014-2016, utilizzando l’influenza dell’allora vicepresidente di Obama. Nel 2020 sono emersi ulteriori fatti di corruzione: attraverso la famosa «$6 million bribe» (mazzetta da sei milioni, ndr), come l’hanno ribattezzata le testate giornalistiche, Biden minacciò di non devolvere un miliardo di aiuti all’Ucraina se l’allora presidente Poroshenko non avesse rimosso il pubblico ministero che indagava proprio su Burisma.

Mi sta raccontando dei fatti molto gravi.
Parliamo non solo di conflitto d’interessi, ma di violazione dei più basilari principi etici della politica: l’utilizzo dell’influenza di un vicepresidente non solo per arricchire la sua famiglia, ma anche per influire sul governo di uno Stato, in modo da non far emergere la corruzione della società per cui lavorava suo figlio. Tra l’altro ciò giustifica in parte anche tutta la generosità di Biden nel sostegno all’Ucraina in questo conflitto con la Russia, ormai perso.

E come procede l’inchiesta giudiziaria sulla famiglia Biden?
Il figlio e il fratello di Biden, Hunter e James, sono stati interrogati recentemente, il 28 febbraio, presso il comitato di judiciary intelligence, e continuano a reiterare la loro strategia quasi di marketing: respingono le accuse ripetendo il solito mantra, cioè che si tratta di propaganda russa o di cospirazione trumpiana. Non si entra mai nel merito delle questioni.

Qual è il suo giudizio complessivo su questi quattro anni di amministrazione democratica?
Sono emersi problemi notevoli: inflazione spaventosa, immigrazione illegale incontrollata soprattutto dal Messico, crescita rampante del crimine, emergenza senzatetto e malattia mentale. Dopo il Covid, il governo non ha valorizzato il sostrato dell’impresa su cui la società americana si sviluppa, con il risultato che tantissime persone hanno perso le proprie attività, sono finite per strada e abusano di psicofarmaci. In questa situazione di decadimento, anche dei valori, naturalmente i cittadini non hanno apprezzato che la maggior parte delle proprie tasse andasse a finanziare l’Ucraina invece delle crisi interne.

Quindi anche l’opinione pubblica inizia a mettere in dubbio il coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra?
Certo. Negli ultimi otto mesi ho notato un cambiamento di atteggiamento radicale e trasversale, anche in alcuni democratici che avevano abbracciato incondizionatamente la causa ucraina. Nei momenti di recessione emergono le necessità primarie: la prima priorità dell’americano medio è portare il pane in tavola per la propria famiglia. Biden, invece, ha fatto molta leva sulle politiche delle minoranze, che non rappresentano il problema principale della società.

Ha ragione la sinistra italiana a tifare per Biden come se fosse un suo rappresentante?
In realtà c’è un’enorme differenza di sostanza tra i due mondi politici. In Italia anche la sinistra più accanita manifesta un senso comune che ai democratici manca. Qui l’estremismo della dittatura del nuovo politicamente corretto è diventato folle.

Continua a leggere le notizie di DiariodelWeb.it e segui la nostra pagina Facebook

Clicca per commentare

Tu cosa ne pensi?

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *