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Opinioni

Francesco Carraro: «Li chiamano complottisti, ma tengono viva la democrazia»

L’avvocato e saggista Francesco Carraro presenta al DiariodelWeb.it il suo ultimo libro «Elogio del complottista», appena uscito per la casa editrice Byoblu

Fabrizio Corgnati

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Una manifestazione contro il green pass
Una manifestazione contro il green pass (© Fotogramma)

Si intitola «Elogio del complottista» (Edizioni Byoblu) l’ultimo libro dell’avvocato e saggista Francesco Carraro. Un titolo provocatorio che nasconde però un ragionamento lucido, basato su un’osservazione evidente: cioè che la propaganda tenda a screditare, appiccicandogli la stessa etichetta dispregiativa, non solo chi crede nelle ipotesi più ridicole, ma anche chi si limita a sollevare legittimi dubbi sul punto di vista prevalente nell’informazione mainstream. Cioè, chi esercita semplicemente la propria coscienza critica. Ecco cosa ha raccontato l’autore nell’intervista al DiariodelWeb.it.

Avvocato Francesco Carraro, qual è il significato del termine «complottista»?
Stando ai dizionari, questo termine può indicare solo due categorie di persone: chi ordisce i complotti oppure chi pensa che, dietro a un singolo accadimento o addirittura dietro a qualsiasi evento, possa esserci una cospirazione.

Negli ultimi anni, però, questa definizione sembra essersi allargata a macchia d’olio.
Fino a travalicare di gran lunga i due significati che ho appena detto. Si è cominciato a chiamare complottisti anche soggetti ben diversi. Ad esempio chi sostiene tesi assurde e le spara grosse, come i terrapiattisti. Ma anche chi cerca di capire la realtà guardando al di là delle versioni ufficiali: ciò che dovrebbero fare non solo tutti i giornalisti ma tutte le persone assennate.

Sotto un unico ombrello si sono accomunati soggetti ben diversi tra loro.
Generando una gigantesca confusione, che secondo me non è casuale. Assimilando chi fa discorsi ragionevoli, ma fuori dal coro, a personaggi oggettivamente impresentabili, si è ottenuto l’effetto di liquidarli. Si è venuto a formare un marchio d’infamia, da usare come un randello contro chi usa la propria testa. Un’autentica mistificazione semantica.

Questa mossa nasconde un disegno preciso? E nell’interesse di chi?
Esiste una teoria, diffusasi soprattutto all’inizio di questo secolo, secondo cui il termine «complottista» sarebbe stato ideato addirittura dalla Cia, per screditare i fautori di teorie alternative a quelle comunemente veicolate dai media mainstream.

Ed è una teoria verificata?
È vera a metà. Esiste un cablogramma del 1° aprile 1967 della Cia, in cui si fa riferimento a coloro che non credevano alla versione della commissione Warren sull’omicidio Kennedy, chiamandoli complottisti. Ma mi pare eccessivo sostenere che siano stati i servizi americani a inventare di sana pianta il termine e l’idea di usarlo contro i dissidenti.

Quindi di chi sarebbe la responsabilità?
Non occorre scomodare la Cia: semplicemente, l’establishment si è reso conto che questa strategia comunicativa è estremamente efficace basta e dunque la porta avanti. È sufficiente aprire i giornali o ascoltare i telegiornali per rendersi conto di questo dato di realtà, che è sotto i nostri occhi. Chiunque osi mettere in dubbio l’origine della pandemia o l’efficacia dei vaccini diventa automaticamente un complottista. Anche se non si evoca alcuna macchinazione, ma si limita a porre domande di buonsenso, basate su documenti, prove e ragionamenti di autorevoli scienziati.

È evidente che interpretare ogni fatto sulla base di un complotto sfiora il fanatismo. Eppure le congiure, storicamente, sono esistite.
Pensiamo allo scandalo Watergate, quando l’allora presidente statunitense Nixon fu denunciato da due famosi giornalisti per aver ordinato di piazzare microspie nella sede del partito avversario e dovette dimettersi. O alla strategia della tensione, secondo cui i gruppi terroristici attivi in Italia tra il 1978 e il 1981 erano manovrati dall’esterno per indurre paura nel paese e giustificare una torsione autoritaria della politica. Oppure ancora alla famigerata loggia deviata P2.

Queste, in effetti, sono vicende riscontrate e comprovate.
E configurabili autenticamente come complotti, addirittura compiuti dall’alto verso il basso, cioè da chi detiene il potere nei confronti della massa, per manipolarla. Esattamente quello che oggi denunciano i cosiddetti «complottisti», che però non sono altro che critici della vulgata dominante e non dovrebbero essere tacciati con questo epiteto.

Quindi, perché il complottista merita un elogio?
Perché ci vuole coraggio, oggi, a portare avanti questo lavoro di critica, quello di cui un tempo si occupavano gli intellettuali, da Pier Paolo Pasolini a Oriana Fallaci, da Indro Montanelli a Goffredo Parise. Si rischia il proprio buon nome, il proprio prestigio, perché si viene bollati come picchiatelli dissennati. Eppure sono loro, a mio modo di vedere, gli unici che consentono di affermare che la nostra è una società democratica, dove è ancora concesso parlare e usare la ragione illuminata.

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