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Opinioni

Paolo Becchi: «Morto Berlusconi non se ne fa un altro. Per Forza Italia è la fine»

Il professor Paolo Becchi, filosofo e politologo, traccia al DiariodelWeb.it un bilancio degli 86 anni di vita di Silvio Berlusconi, imprenditore e politico

Fabrizio Corgnati

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L'ultimo videomessaggio di Silvio Berlusconi (© Fotogramma)

Al termine di una lunga battaglia contro la leucemia mielomonocitica cronica, si è spento ieri all’età di 86 anni, all’ospedale San Raffaele dove era ricoverato, Silvio Berlusconi. Nelle sue tante vite è stato immobiliarista, imprenditore televisivo, presidente del Milan, politico, quattro volte premier. Soprattutto, è stato un innovatore, capace di rivoluzionare ogni contesto in cui ha agito, di accentrare addirittura un ventennio della storia italiana interamente sulla sua figura, nel bene e nel male. Il DiariodelWeb.it ha discusso dell’eredità del fondatore di Forza Italia in quest’intervista con il filosofo e politologo Paolo Becchi.

Professor Paolo Becchi, ora che Silvio Berlusconi fisicamente non c’è più, riusciremo ad assumere una visione più lucida e storicizzata della sua figura?
Questo è il problema: riusciremo a dare una valutazione più complessiva di ciò che ha rappresentato per il nostro Paese? Non è una domanda facile a cui rispondere. Io, personalmente, me lo auguro.

Prima, però, bisognerà uscire dal dualismo tra berlusconismo e antiberlusconismo.
Che ha caratterizzato tutta la seconda Repubblica. Ora, essendo morto Berlusconi, dovrebbe morire anche questa sterile contrapposizione. A quel punto potremo tracciare un bilancio complessivo di questi vent’anni.

Proviamo ad abbozzarne uno.
Il dato di fatto fondamentale è che la seconda Repubblica è stata incarnata da lui. E ricordiamo che la a prima si esaurì attraverso la magistratura: non fu sconfitta politicamente, ma attraverso un’operazione portata avanti dal potere giudiziario.

L’inchiesta Mani pulite.
Un evento che non dovrebbe avvenire in uno Stato democratico. Berlusconi sfruttò quella situazione per sconfiggere la «gioiosa macchina da guerra» di Occhetto. Da lì cominciò un percorso che l’ha visto sempre protagonista, anche quando non era al governo.

La scomparsa dell’ex premier, dunque, chiude un’epoca.
La seconda Repubblica, politicamente, si era già chiusa nel 2011, anche se la terza tuttora non si vede. Berlusconi salì al potere nel 1994 dopo il colpo di Stato della magistratura e venne sconfitto da un altro colpo di Stato, stavolta organizzato da Bruxelles.

A colpi di spread.
Lo misero di fronte a un bivio: o cedi o distruggiamo Mediaset. In quel periodo il valore delle azioni delle aziende stava sparendo. Così fece buon viso a cattiva sorte e se ne andò. Da quel momento in poi non si è più ripreso. È stata una lunga agonia, politica prima ancora della malattia. Ma oltre al golpe della Ue ci fu un altro elemento.

Quale?
Come si è visto anche dalla reazione di Putin alla sua morte, Berlusconi non ha mai rotto i ponti con Mosca. Questo, per l’Occidente, era inaccettabile. La vera sconfitta politica avvenne su questo punto, non tanto sulle decine di processi che subì, pur molto discutibili. Lui considerava la Russia parte dell’Europa. E, secondo me, aveva ragione.

Nel ventennio berlusconiano dominano le luci o le ombre?
Degli obiettivi forti che Berlusconi si era proposto non si è realizzato sostanzialmente niente. Pensiamo alla stagione delle riforme istituzionali, del cambiamento della forma di governo, della trasformazione in senso presidenzialistico, di cui oggi si torna a parlare. Si concluse tutto con un nulla di fatto. Eppure…

Eppure?
Eppure ha sicuramente dato una svolta nel modo di fare politica. È stato l’ultimo leader, nonché il primo personalista. Faccio un esempio: prima di lui Berlinguer fu sicuramente un leader, ma il Partito comunista andava oltre lui. Con Berlusconi nasce l’idea che la persona diventa determinante. Le elezioni le vinceva lui, mentre il partito era sostanzialmente un’azienda al suo servizio. Ecco perché, con la sua morte, muore anche Forza Italia. Morto Silvio non se ne fa un altro.

Non ci sarà un futuro per il suo partito?
Non credo, perché l’altro grande limite di Berlusconi è stata l’incapacità di coltivare una propria eredità politica. Ci provò con Fini e poi con Alfano, ma effettivamente l’unico successore possibile era la sua figlia prediletta, Marina. Che però non ha avuto mai l’intenzione di candidarsi. Ora formalmente nomineranno Tajani, ma l’esperienza a livello politico è conclusa.

Berlusconi fu un grande innovatore, ma ora sono cambiati i tempi.
Quello che all’epoca era rivoluzionario, oggi appartiene al passato. Se ci pensa, non esiste più neanche quel ruolo di imprenditore. Il mondo dell’industria e del lavoro è completamente cambiato: oggi ci sono le start up. Così come non esiste più la televisione generalista: già alla nascita del Movimento 5 stelle lui non riusciva a capire il significato di Internet. La fine di Berlusconi è anche la fine del suo mondo.

Ma Berlusconi non inventò solo Forza Italia, bensì anche il centrodestra, che oggi è al governo. Non è anche questa una sua eredità?
Alla lontana sì. Però con lui muore anche quel modello di centrodestra, che nacque dal tentativo di coniugare il liberalismo con il federalismo della Lega. Questi due elementi sono entrambi molto lontani da Fratelli d’Italia, che è un partito centralista e sul cui liberalismo si può molto discutere. Ironia della storia, magari proprio quelle stesse riforme che non erano riuscite a Berlusconi saranno compiute dalla Meloni.

E se per Forza Italia non c’è futuro, per il centrodestra?
Magari questa potrebbe essere l’occasione per creare un grande partito repubblicano, guidato proprio da Giorgia Meloni. Per non frantumare l’eredità berlusconiana e creare una forza politica destinata a durare nel tempo.

A Mediaset, invece, cosa succederà?
Bella domanda. Tutti parlano dell’eredità politica, nessuno di quella economico-finanziaria. Mediaset sta andando molto bene in borsa, ieri ha fatto registrare un +6%, e fa gola fuori dall’Italia. Ma controllare l’azienda significa controllare l’informazione e dunque il governo monitorerà questa partita, perché la sorte della prima televisione privata italiana è questione di interesse nazionale.

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1 Commento

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  1. Avatar

    Gaetano

    13 Giugno 2023 at 14:04

    Un gran Signore ma … Non ha saputo essere vivere divenire un Principe Signore. Non era è nelle sue corde e possibilità . Poteva unire l’Italia e gli Italiani tutti … Aveva gli strumenti di comunicazione e non solo e tenere l’Italia fuori dal disastro che ne è seguito . Non ha avuto né la forza be il coraggio di questa azione . Ecco perché è solo un piccolo signore e non ha saputo divenire un Principe Signore oltre ed al di là dei piccoli moralismi dei sinistrati ed utili inutili idioti . Il Principe Signore quando è il momento mette sul piatto della bilancia tutto Ciò Che È ed Ha … Se necessario il bene più prezioso … La propria vita . Oggi non saremmo in questa disastrosa situazione voluta da un Europa nata Criminale con l’euro quale strumento di schiavitù. Gaetano

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