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Economia & Lavoro

Price cap, inutile fraseggio a centrocampo

L’accordo sul tetto al prezzo del gas è appena stato raggiunto, ma l’Ue cerca di apportare qualche miglioria al testo. Secondo le indiscrezioni, però, anche la nuova versione del protocollo si rivelerà poco incisiva contro la speculazione. Mentre, a quanto afferma il direttore dell’Aie, il 2023 potrebbe portarci una carenza di metano oltre i 27 miliardi di metri cubi

Carlo Vedani

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Fiamma di fornello a gas (© Depositphotos)
Fiamma di fornello a gas (© Depositphotos)

Dopo l’accordo (o pseudo tale) sul tetto al prezzo del gas, l’Unione Europea ci prova ancora. È allo studio il price cap 2, che – almeno a parole – dovrebbe fissare limiti più stringenti alla speculazione e alla volatilità dell’oro blu.

Dalle prime avvisaglie, però, il nuovo protocollo sembra una fotocopia del primo: abbassa, è vero, il prezzo massimo, ma continua a mantenerlo su limiti altissimi.

Il problema è stato evidenziato anonimamente anche da un diplomatico dell’Unione Europea coinvolto nell’organizzazione dell’ennesimo consiglio sull’energia. L’intenzione di alcuni paesi Ue di giungere a un vero accordo, ha fatto ampiamente capire, “non è quella che ci aspettavamo”. L’indiscrezione, ovviamente, non sorprende. Perché è ormai chiaro che ogni paese sta facendo da sé: Spagna e Portogallo hanno fissato un tetto a misura di azienda (circa 65 euro a kilowattora contro i 130 ufficiali), la Germania ha messo a disposizione di famiglie e imprese un budget molto ampio e la Francia calmiera i prezzi.

Ma c’è chi può e chi non può. L’Italia, evidentemente, non può: lo scostamento di bilancio – ha fatto capire Ursula von der Leyen – è streng verboten.

Insomma: si balla ancora sfrenatamente negli sfarzosi saloni del Titanic, mentre la nave lentamente si inabissa. E nessuno è immune al rischio se, come ha detto Fatih Birol, direttore dell’Agenzia Internazionale per l’Energia, nel 2023 l’Unione Europea rischia una carenza di metano pari a oltre 27 miliardi di metri cubi. Il che significherebbe cavarsela per questo inverno, ma non per il prossimo.

Le illusioni potrebbero dunque sciogliersi come neve al sole: la sostanziale tenuta di ottobre e novembre è dipesa sostanzialmente dalle temperature sotto la media fatte registrare in gran parte d’Europa. Ma ora, come era ampiamente prevedibile, è calato il freddo.

Scenari da incubo

Un 2023 all’insegna di ulteriori rincari energetici e razionamenti è stato previsto anche da uno studio realizzato da S&P Global Ratings. L’agenzia ha proposto uno scenario negativo (con probabilità pari a uno su tre) che potrebbe verificarsi nel caso in cui la guerra russo-ucraina si protraesse nel corso del prossimo anno.

Le previsioni, come anticipato, non si discostano dall’allarme del direttore Aie ed evidenziano rischi di ulteriori rincari e di contingentamenti. La nuova e più pesante crisi energetica si distribuirebbe un po’ dappertutto, ma la Polonia sarebbe l’area più svantaggiata, anche a causa della vicinanza con il fronte di guerra.

Secondo S&P, lo scenario negativo vedrebbe anche una recessione più grave del previsto, soprattutto in Europa, con un Pil in calo dell’1,3% nel 2023 e la Germania come paese più colpito; tassi Usa ancora più alti; Bce costretta a seguire la Fed per evitare il deprezzamento dell’euro; rallentamento minore dell’area Asia-Pacifico, macroregione più orientata ai mercati interni.

Premesso che tutti gli esercizi e le previsioni restano tali, lo scenario sembra verosimile. I dati attuali mostrano che l’inizio del 2023, per l’Europa, sarà molto problematico, e potrà superare le stime più negative. Verosimile anche la previsione sulla Germania, mentre l’Italia ha le carte in regola per cavarsela meglio: il nostro paese è l’unico nell’Ue che vede un Pil superiore al periodo pre-Covid. Questo, probabilmente, perché a causa delle restrizioni e dei diktat di Bruxelles l’Italia si è attrezzata meglio a superare le crisi.

Ricette vetuste

Detto questo, lo scenario ucraino è sempre più preoccupante, un po’ perché la guerra sta ampliando il suo raggio (Kiev inizia a colpire sistematicamente obiettivi in territorio russo), un po’ perché i bombardamenti di Mosca stanno distruggendo le infrastrutture del paese, catapultandolo indietro di 50 anni.

L’inflazione resta, invece, un punto di domanda. Anche se, paradossalmente, quella americana sembra più facile da combattere con l’aumento dei tassi, perché colpisce tutta la scala del valore.

In Europa, lo abbiamo sottolineato molte volte, il problema è invece il rincaro energetico, che rende inutile la vecchia ricetta a base di rialzi. Questa strategia rischia dunque di non scalfire lo tsunami inflattivo, portando nel contempo l’Europa in recessione e contribuendo a distruggere la sua economia e a espellere dalla competizione varie aziende del nostro continente.

Auto elettriche, nuovi stop

Sul fronte dell’energia si segnalano altre due notizie curiose. La prima riguarda le auto elettriche: dopo le indiscrezioni su un possibile stop temporaneo di questi veicoli in Svizzera, ora è la volta di Germania e Svezia, che hanno sospeso gli ecobonus per l’acquisto delle e-cars. Le misure, che rischiano di creare un trend, potrebbero mettere in seria discussione lo stop alle vetture endotermiche già fissato dal parlamento europeo per il 2035. L’agenda elettrica sarebbe quindi bloccata non da riflessioni di carattere economico e di salvaguardia delle nostre aziende automotive, ma dalla crisi energetica che non accenna a placarsi.

La seconda notizia è invece il presunto caso di corruzione, da parte delle autorità del Qatar, della vicepresidente del parlamento europeo e di alcune figure di profilo medio-basso della politica continentale. La vicenda rende lecita alcune domande: questa inchiesta rivela un fenomeno casuale o è solo la punta dell’iceberg? I “piani alti” sono immuni? E: esiste una lobby legata alla transizione energetica che ha lavorato per imporre certe scelte (anche discutibili) in ambito comunitario?

Investimenti bilanciati

Sul fronte degli investimenti, il rimbalzo che ha permesso un parziale recupero dei mercati azionari è a un punto di svolta. Nel prossimo futuro, a rivelarsi determinanti per la sua sorte saranno gli utili, che nel terzo trimestre si sono rivelati positivi ma che non fanno sperare troppo per la prossima scadenza. Soprattutto nei titoli tecnologici, che sono in deciso calo.

Per contro, c’è ottimismo per il mercato obbligazionario, che dopo aver navigato in territorio negativo per parecchio tempo è pronto per restituire buoni rendimenti: se fino a poco tempo fa gli investitori spostavano capitali sulle azioni per mancanza di alternative, ora si può tornare a puntare sui bond, ancora sottopesati.

Una formula sensata potrebbe prevedere un investimento bilanciato, partendo con il 75% o l’80% in obbligazioni, mantenendo un po’ di liquidità in entrata e riversandola in un secondo tempo sull’azionario, che andrebbe a crescere dal 20%-25% al 30%-35%. Una scelta simile potrebbe restituire rendimenti anche superiori al 5%.

Unicredit, cresce il pillar 2?

Oltre ai tecnologici, sono in discesa anche i titoli bancari. Alcuni rumours puntano il faro su Unicredit, che pur aveva registrato ottimi utili. Secondo indiscrezioni, la Bce potrebbe alzare i requisiti di pillar 2 della banca di Piazza Gae Aulenti dall’1,75% al 2% dei suoi risk weighted assets per potenziare la resistenza del gruppo dai rischi che derivano da guerra e recessione.

Finora non c’è nulla di ufficiale. Tuttavia, se davvero l’Eurotower si muovesse in questa direzione, la richiesta potrebbe suonare come un segnale inviato a un gruppo bancario ancora in affari con la Russia, che rappresenta il 15% delle attività di Unicredit. Attività che l’istituto milanese non ritiene opportuno dismettere.

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