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Economia & Lavoro

Primo semestre, Piazza Affari leader europea

La Borsa di Milano ha smentito con disinvoltura le previsioni negative, tagliando il traguardo di metà anno con una crescita del 19,6%. Merito delle performance dei titoli bancari, ampiamente presenti a Palazzo Mezzanotte. Ma anche…

Carlo Vedani

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Borsa Italiana, conosciuta anche come Piazza Affari
Borsa Italiana, conosciuta anche come Piazza Affari (© Depositphotos)

Ottima performance per Piazza Affari nel primo semestre 2023. Milano si è infatti imposta come leader europea dei listini, con una crescita del 19% – una prestazione che non si vedeva dal settembre del 2008.Palazzo Mezzanotte si lascia dietro le Borse di Madrid (+16,6%), Francoforte (+16%), Parigi (+14,3%) e Amsterdam (+12,3%).

Pronostici smentiti

La crescita della Borsa di Milano smentisce le previsioni dei sedicenti esperti finanziari, che avevano previsto risultati al ribasso e che hanno ampiamente dimostrato di non saper leggere i dati. A spingere la performance sono essenzialmente tre fattori. Il più importante è la forte presenza, nel listino milanese, di titoli finanziari e bancari, che in epoca di tassi di interesse alti hanno guadagnato moltissimo. Negli anni in cui l’inflazione era bassa, gli istituti di credito depositavano la liquidità presente sui conti correnti dei clienti in Banca Centrale Europea, con tassi negativi al -0,50%; ora ottengono risultati importanti, anche perché – nonostante la stretta creditizia – hanno lasciato i conti correnti dei poveri investitori con rendimento zero. C’è però chi si è ricordato del personale: è Intesa Sanpaolo, che ha alzato i bonus per i dipendenti, con l’obiettivo di condividere con loro gli ottimi risultati ottenuti in questi mesi. La seconda causa della prestazione positiva di Piazza Affari è il prodotto interno lordo italiano, che si è piazzato fra i migliori d’Europa, a differenza di quelli francese e tedesco. Infine, ha dato il suo contributo anche la corretta impostazione del governo in tema di programmazione economica. Oltre all’ottimo semestre dei listini, poi, occorre anche evidenziare la buona situazione dei titoli di stato: lo spread naviga fra quota 170 e 175, contro i 205 punti base di inizio anno.

Il recupero dei tecnologici

Nel mondo, però, c’è anche chi ha fatto meglio di noi. Si tratta del Nasdaq, che ha addirittura incrementato il suo valore del 30%, segnando il miglior primo semestre dal 1983. Quando, cioè, Ronald Reagan era alle prese con il suo primo mandato presidenziale. A una prima occhiata, l’affermazione del Nasdaq assume i contorni di un risultato eccezionale. Ma l’impennata dell’indice è ampiamente spiegabile. L’anno scorso, i risultati borsistici americani erano stati trainati al ribasso dalla crisi dei tecnologici. Ora, il listino sta semplicemente recuperando il terreno perduto, sulla scia delle buone prestazioni registrate dalle bigtech e dell’impennata dell’intelligenza artificiale – che però sembra troppo veloce e improvvisa per non farci temere una bolla.A questo bisogna aggiungere la tradizione degli anni pre-elettorali, che solitamente spingono in alto tutte le Borse americane, anche in un periodo, come questo, che ha visto i tassi Usa passare in 18 mesi dal territorio negativo al 5%.

Le prospettive

Tagliato il “traguardo volante” di metà anno, quali sono le prospettive delle Borse per i prossimi mesi? Difficile da prevedere, dato che i mercati, dopo un lungo periodo di trading range, sono improvvisamente tornate a salire. Molto probabilmente, agosto e inizio settembre saranno periodi tranquilli, con una fase stagnante di letargo. Con l’arrivo dell’autunno, invece, potremo intravedere meglio una tendenza possibile per la parte rimanente dell’anno. Per ora, sembra più saggia una strategia di mantenimento del portafoglio. Tra i settori a maggiore possibilità di crescita ci sono i petroliferi europei (con aziende come Eni, la cui valutazione è ancora molto sottodimensionata rispetto al suo valore reale) e ancora vari bancari e assicurativi (primi fra tutti, Intesa Sanpaolo e Generali).

Inflazione in discesa

In Europa, l’inflazione continua a scendere, anche se alcuni settori, come l’alimentare o il turistico, non accennano a fermare i rincari. Soprattutto nel secondo caso, è in atto una speculazione che sfrutta il desiderio di viaggiare degli europei, deflagrato una volta archiviate le restrizioni Covid: è difficilmente spiegabile – se non, appunto, con un effetto speculativo – che in alcuni casi costi di più volare da Milano a Cagliari che non a New York. In ogni caso, c’è un paese in controtendenza: è la Germania, dove – anche a causa dello stop al bonus trasporti – l’inflazione ha raggiunto il 6,4%, crescendo di un decimo rispetto alla rilevazione precedente. Il dato non può che preoccupare: Berlino è il volano d’Europa e insieme all’Italia traina l’industria del continente. Non dimentichiamo poi che l’economia tedesca è messa sotto scacco da due importanti fattori di crisi: le scelte molto discutibili introdotte dall’Europa in materia di mobilità elettrica, che rischia di distruggere l’automotive tedesco (e italiano) e il proseguimento della guerra russo-ucraina, i cui effetti sull’economia colpiscono la Germania più di ogni altro paese europeo. E, a proposito di conflitti, è molto preoccupante la situazione in Francia, che vede da alcuni giorni scontri per le strade delle principali città, violenze diffuse e saccheggi indiscriminati. Oltre al grave problema di ordine pubblico e al timore di “contagi” in altri paesi europei, ne risentirà sicuramente anche l’economia: meno consumi, devastazioni su larga scala e soprattutto stop al turismo, che per la Francia è una voce molto importante. Il tutto si inserisce in un periodo che, come già detto, vede Parigi in difficoltà sul fronte del prodotto interno lordo.

De-risking

Sul fronte internazionale, continua a far parlare l’opportunità di procedere sulla strada del de-risking nei confronti della Cina. Cioè la riduzione della dipendenza europea da Pechino, che è attualmente il primo fornitore mondiale dell’Ue e il suo terzo mercato di distribuzione merci. L’iniziativa, annunciata da Ursula von der Leyen lo scorso marzo, ha fatto passi avanti in questi giorni, e punta a mantenere la Cina nel ruolo di partner importante del commercio con l’Ue, riducendo però la sua presenza nelle aree in cui è coinvolta la sicurezza stessa dell’Unione e dei singoli paesi membri. Sul de-risking si discute proprio in un periodo di contrasti acuti fra Usa e Cina, con l’amministrazione Biden che, secondo i rumours, starebbe pensando di limitare l’accesso al cloud alle aziende cinesi. È davvero possibile una reale azione in grado di limitare la presenza dominante di Pechino nel commercio europeo? E, se sì, in quale misura? Premesso che Cina, Europa e Stati Uniti sono necessari gli uni agli altri, potrebbe rivelarsi utile riportare nell’Ue alcune industrie protagoniste della massiccia delocalizzazione, vera e propria follia che ha pervaso il commercio fra gli anni Novanta e i primi anni Duemila. Per un’economia florida, un paese sovrano ha bisogno anche di imprese di produzione all’interno dei suoi confini. Avere solo imprese di servizi rende vulnerabili nei confronti di eventuali choc endogeni o esogeni.

Linate. Fermata Linate

Infine, una notizia di ieri: a Milano è stata finalmente completata la tratta della metropolitana 4 che collegherà Piazza San Babila con Linate, permettendo ai viaggiatori di raggiungere il centro di Milano dal suo city airport in appena 11 minuti. L’inaugurazione del nuovo tronco della metropolitana dimostra anche quanto fosse miope l’idea – sviluppata in contemporanea all’inaugurazione del terminal 2 di Malpensa – di ridimensionare o addirittura chiudere Linate. Che invece si dimostra uno scalo molto comodo e vicino alla città come pochi altri nel mondo. La metropolitana 4 ha anche provocato, a cascata, un rialzo dei prezzi delle abitazioni lungo il tracciato della nuova linea, che si era già avvertito a inizio lavori e che ora si inserisce in una forbice tra il 7% e il 12%.

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